Pur in un contesto di diffusa normalizzazione, ad oggi in Italia, giuridicamente, consumare droga per uso personale è considerato un illecito amministrativo. Qualora infatti il soggetto sia trovato in possesso di sostanza – esclusa la fattispecie dello spaccio (art. 73 del DpR 309/90) – deve presentarsi (ex art.75) presso i competenti uffici della Prefettura. Solo in secondo momento, e se inviato dai delegati del Prefetto (ma non sempre ciò avviene), dovrebbe recarsi presso il Ser.D (Servizio per le Dipendenze della locale Azienda Sanitaria) territorialmente competente per dimostrare, sulla scorta di test tossicologici e colloqui multidisciplinari, di non utilizzare sostanze, pena l’applicazione di una serie di sanzioni amministrative (sospensione patente, passaporto ecc.).

Nel 2021 in Italia la tendenza del numero dei segnalati per consumo di sostanze illecite – in crescita da anni – ha fatto registrare una forte contrazione, toccando il minimo storico dal 2007

Conseguenza della pandemia da Covid-19, nel 2021 in Italia la tendenza del numero dei segnalati per consumo di sostanze illecite – in crescita da anni – ha fatto registrare una forte contrazione, toccando il minimo storico dal 2007 (31.914). Sono inoltre diminuite le segnalazioni relative ai minori (2.643), che nel 98% dei casi sono da riportare al possesso di cannabis. Per contro, è aumentato il numero delle sanzioni applicate (38,6% dei casi) con un aumento netto (+43,6%) rispetto al 2020. Sempre nell’ultimo anno, però, sono state solo 193 le persone sollecitate a seguire un programma di trattamento socio-sanitario presso il Ser.D. del proprio comune di residenza, a fronte delle 3.008 del 2007. Nel 72,8% dei casi le persone segnalate sono risultate essere in possesso di cannabis, contribuendo a portare il dato a oltre un milione dal 1990 (fonte: XIII Edizione Libro Bianco sulle droghe, 2022).

Ė pressoché evidente come i numeri italiani continuino a confermare, in controtendenza con quanto deciso in tanti altri Paesi del mondo, una visione repressiva del consumo e, cosa ben più grave, spesso della dipendenza patologica (“Malattia cronica e recidivante”, per riprendere la definizione data dall’Organizzazione mondiale della sanità). La Prefettura – organo periferico del ministero dell'Interno – non è un luogo neutro, non è il luogo del sapere e del trattamento specialistico e delle specifiche competenze nel settore. Le sanzioni amministrative, che, evidentemente, non tengono conto della diversità delle sostanze, del loro potere di addizione, della differenza tra uso e dipendenza, del contesto, non necessariamente scoraggiano i consumatori e men che meno i dipendenti patologici. Vediamo in che senso.

Nei primi tre anni successivi alla Legge n. 49 del 2006 – nota come “Fini-Giovanardi”, legge dichiarata incostituzionale dalla Consulta nel 2014 – l’inasprimento delle sanzioni e l’equiparazione penale della cannabis alle altre droghe illegali ha prodotto una lieve decrescita nella fascia d’età 15-19 anni, seguita poi da una ben più significativa ripresa.

Nel settembre 2021, i quesiti referendari sugli articoli 73 e 75 del DpR 309/90 hanno raccolto 630 mila firme, ma nel febbraio 2022 sono stati valutati inammissibili dalla Corte costituzionale. Per alcuni poco chiari i quesiti, per altri oscure le ragioni addotte dalla Consulta per accantonarli: resta il fatto che le aspettative legittime (terapeutiche e ricreative) di tante persone (firmatari e non) nel nostro Paese sono rimaste disattese per l’ennesima volta.

Quanto può risultare difficile servirsi della scienza, dell’esperienza, della voce dei portatori di interesse quando non si è disponibili a rivedere il proprio atteggiamento politico e le proprie convinzioni? Eppure, l’antiproibizionismo e il proibizionismo nostrano finiscono per somigliarsi più di quanto non si creda. Chi vuole tutto e chi non vuole concedere niente: entrambi gli approcci contribuiscono a confermare uno sconcertante immobilismo. È davvero così improbabile che in Italia possa avviarsi un confronto serio su evidenze scientifiche, scevro da formule preconcette e craving da consenso elettorale?

Per anni la delega alle politiche antidroga in Italia non è stata assegnata; la Conferenza nazionale sulle droghe si è fatta attendere 12 anni quando per legge dovrebbe essere organizzata ogni 3. Nel frattempo, sono state falcidiate le risorse a disposizione dei servizi pubblici e del privato sociale accreditato. La cosiddetta “riduzione del danno” (termine con il quale si fa riferimento a politiche, programmi e prassi che mirano principalmente a ridurre le conseguenze di salute, sociali ed economiche derivate dall’uso di droghe legali o illegali, fuori dall’obiettivo drug free), contemplata dal 2017 nei Livelli essenziali di assistenza, ad oggi attende di essere finanziata.

Sono stati cancellati progetti, insabbiate proposte di legge, ignorate competenze. Eppure già nel 2001 un Paese come il Portogallo ha depenalizzato l’acquisto, il possesso e il consumo di droghe ricreative per uso personale. La normativa prevede che i segnalati per uso personale si presentino dinanzi alla Commissione per la dissuasione dalla dipendenza dalla droga, solitamente costituita da un medico specialista, uno psicologo (o assistente sociale, o sociologo) e da un avvocato, privilegiando una linea di intervento centrata sulla decriminalizzazione e sulla depenalizzazione. Il trattamento consigliato, infatti, non implica alcun obbligo per il consumatore, e solo a fronte di situazioni recidivanti scattano sanzioni amministrative. Al di là delle opinioni in merito alla legalizzazione di una o tutte le sostanze, il modello portoghese meriterebbe una maggiore considerazione da parte dei nostri decisori politici, fermi ancora sui due estremi di un continuum di possibili strumenti normativi comunque ignorati.

“Depenalizzare” significa degradare fatti di reato a illeciti amministrativi. La vendita di sostanze illecite resterebbe un reato penale anche in regime di depenalizzazione

Proviamo a mettere qualche paletto, anche di tipo semantico, nella discussione, ricordando sin da subito che “depenalizzare” significa degradare fatti di reato a illeciti amministrativi e precisando che la vendita di sostanze illecite resta un reato penale anche in regime di depenalizzazione. Per “decriminalizzazione”, invece, deve intendersi la semplice abrogazione della norma penale con la conseguenza di rendere lecito il comportamento precedentemente incriminato.

 

La legalizzazione di alcune sostanze psicotrope (o di tutte) è, poi, l’istituzione di una serie di norme che regolamenta vendita, acquisto, uso, possesso. In pratica ciò che già accade nel nostro Paese per alcol e tabacco. La “liberalizzazione del mercato” è un falso problema: di fatto, il mercato delle droghe in chiave ricreativa è già libero, per quanto nelle mani di organizzazioni illegali.

Perché in Italia il discorso pubblico sulle droghe continua sistematicamente ad arenarsi (sempre che di tanto in tanto riesca almeno a ripartire seriamente)? Perché, troppo spesso, si preferisce l’ambiguità alla chiarezza; perché si ricorre al tagliar corto, senza possibilità per i distinguo. I punti di vista sono ideologizzati, lo scontro politico sempre presente, la semplificazione ricorrente e temeraria. Si fanno assurgere le opinioni a evidenze e le evidenze sono spesso rintracciate al solo fine di strumentalizzarle a sostegno della propria posizione.

La “liberalizzazione del mercato” è un falso problema: di fatto, il mercato delle droghe in chiave ricreativa è già libero, per quanto nelle mani di organizzazioni illegali

Non può esserci dibattito né vero confronto nel campo delle droghe senza prendere in considerazione il piacere e la possibilità della perdita del controllo propria della dipendenza patologica – o nel caso della cannabis di quella cosiddetta drug habituation che colpisce il 4-7% dei consumatori. Non c’è verità nell’idea che necessariamente da alcune droghe si debba passare al consumo di altre (gateway theory). Non vi è alcuna prova se non un rapporto probabilistico che coinvolge una frazione di consumatori più precoci, abituali e problematici di cannabis, come da smentita del 2002, a firma di esperti designati dai ministeri della Sanità di Belgio, Francia, Germania, Olanda e Svizzera. L’uso di droga e la sua evoluzione risponde alla multifattorialità, anche per questo studiarne le varie sfumature non dovrebbe essere facoltativo.

Nel frattempo, il rischio concreto è di non arrivare a definire una nuova normativa sul tema, ancora per anni, determinando in questo modo un gap sempre più significativo tra cultura dominante e normativa vigente; o farlo in maniera disarticolata e incompleta rispetto all’ampia varietà di implicazioni e di soggetti coinvolti (a cominciare da quelle che toccano i minorenni). Occorre che il prossimo Parlamento non salti a pie’ pari una discussione seria e nel merito di queste problematiche, aggirando gli ostacoli ideologici che nel nostro Paese, grazie al valore di propaganda politica che il tema del consumo di sostanze porta con sé, hanno sinora impedito qualsivoglia passo avanti.