Il 2017 è iniziato in modo cupo. Non solo la terra continua a tremare ma anche le fondamenta del sistema politico traballano. Nella più totale irresponsabilità i contendenti del Pd non hanno trovato di meglio che continuare a litigare come galli manzoniani. Il danno «sistemico» prodotto dalle divisioni nel Pd, e quindi dal suo indebolimento, non è stato tenuto in minimo conto. Da un lato, il segretario del partito rimane arrogante e indisponente, a dimostrazione che nemmeno sbattere il muso contro la realtà serve a cambiare. Dall’altro, un manipolo di nostalgici di un bel tempo che non fu mai secede senza nemmeno preoccuparsi di spiegare perché: il leader è antipatico? Il partito è stato trascurato? La linea politica è sbagliata? Uno straccio di documento in cui indicare nero su bianco i punti dirimenti potevano anche fare la fatica di redigerlo. E invece no. Silenziosi come sempre, senza mai dare battaglia, senza battere pugni sul tavolo, «escono dal gruppo» come tanti Jack Frusciante. Credono che fuori ci siano praterie popolate da elettori pronti a farsi prendere al lazo. Ma dove vivono? Fuori c’è una grande rabbia, una sconfinata delusione, una rassegnazione pronta ad accendersi ed esplodere. E nessuno che possa gestirla perché il moncone renziano non solo è in discesa libera, ma non ha proprio gli strumenti, tanto meno ora che quelli più inclini a tenere l’orecchio sul terreno per coglierne i sussulti se ne sono andati. Andiamo allora al nocciolo del problema: cosa scorre nelle vene del nostro Paese? Da quali pulsioni è mosso? Coltiva ancora speranze o si è rinchiuso in angosce senza scampo?

Cerchiamo di rintracciare il bandolo della matassa, anche spostando il cannocchiale investigativo un po’ più lontano nel tempo. A un certo punto le energie vitali del nostro Paese si sono esaurite e, di conseguenza, è incominciata la corsa a rinchiudersi in un guscio protettivo per difendere disperatamente l’esistente, o quanto di esso rimaneva. Per alcuni l’inizio di tutto va ricercato nel «fallimento» del centrosinistra dei primi anni Sessanta, sopito, o meglio soffocato in culla, dall’(in) azione morotea.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 2/17, pp. 254-263, è acquistabile qui]