Conosciamo Ilvo Diamanti da molti anni. Oltre ad essere un ottimo studioso e docente è, da tempo, un seguitissimo opinionista. Per alcuni ha il difetto di scrivere su un giornale che viene considerato di parte, “la Repubblica”. Ma, accantonati questi giudizi, se lo si legge davvero ci si accorge che come pochi altri sa mettere a nudo le caratteristiche (o per meglio dire i difetti endemici) dell’Italia, della sua classe dirigente e, spesso, degli italiani. Le sue “mappe” e le “bussole”, per chi abbia la pazienza di consultarle con un po’ di attenzione, servono a orientarsi meglio di un gps.

Se uno studioso attento e autorevole che, cosa per nulla scontata, tale è rimasto anche dopo la notorietà avuta grazie all’attività pubblicistica, arriva a scrivere un articolo come quello pubblicato lo scorso primo settembre, dev’esserci una ragione seria e grave. O forse più d’una.

A pochi giorni dall’avvio del nuovo anno scolastico, Diamanti invita i ragazzi a non studiare. Scrive con decisione e senza mezza termini “ragazzi, non studiate”. Chissà se davvero lo fa in termini provocatori o invece, alla fine e dopo tutto, si è convinto che sia questo il consiglio migliore da dare a un giovane italiano che ha concluso gli studi dell’obbligo. Nell’uno e nell’altro caso conviene prenderlo sul serio. Soprattutto, converrebbe ai nostri decisori prenderlo sul serio. Perché, come scrisse Luigi Pedrazzi nel primo numero del “Mulino” nel lontano 1951 e come ci piace ricordare spesso, “la scuola italiana è un istituto gravemente screditato”. Oggi più che mai. Ma da sessant’anni siamo convinti che la qualità di un sistema formativo sia alla base della qualità di un Paese e dei suoi cittadini. E dunque, come sempre, ci ostiniamo a occuparcene. Lo abbiamo fatto nel numero che sta per andare in libreria, dedicando alla scuola il “macinalibri”. Lo faremo come Associazione ritagliando uno spazio specifico nel trattare le diverse forme di diseguaglianza scolastica in Italia. Lo facciamo ora, con fastidiosa pedanteria, per ribadire una cosa semplice e chiara: se c’è un settore che non può continuare a subire tagli, anche in tempi di crisi, è quello dell’istruzione. Se c’è un settore che richiede investimenti mirati questo è la scuola. Ci sono Paesi, come dimostra l’articolo che abbiamo chiesto da Parigi a Pierre Testard, dove discutere di politiche culturali non è irrilevante, anche politicamente. Possibile che sia così complicato e insostenibile economicamente pensare, solo per fare un esempio concreto, a forme di sconto nell’acquisto di libri o nei biglietti per cinema e teatro per tutti gli insegnanti?

Il mancato riconoscimento sociale degli insegnanti, la loro frequente precarietà, le difficoltà di dialogo tra scuola e famiglia e il progressivo sgretolamento dei programmi formativi che definivano i percorsi dopo la scuola media contribuiscono a definire un quadro desolante. Chi oggi si trova a inserire un figlio nella scuola, in particolare a partire dalle superiori, deve spesso confrontarsi con problemi di ogni tipo. E questo è più o meno noto, con le dovute (grandi) differenze territoriali, che le citatissime ricerche Pisa-Ocse hanno ben evidenziato.

Il progressivo deterioramento della scuola unito alla débacle culturale dell’ultimo ventennio ha prodotto una miscela esplosiva. Che ha dato tra gli esiti peggiori un radicale riposizionamento dei “desiderata” dei ragazzi nella scala delle ambizioni professionali. Continuando a seguire la provocazione di Diamanti, a che serve studiare se si vuole diventare veline o tronisti? Se l’obiettivo è garantirsi un posto, a che serve studiare se nei consigli regionali siedono i figli dei politici e i loro nipotini? Le solite demagogie inutili, diranno alcuni. Certo è che chi frequenta la scuola è obbligato a confrontarsi con questa realtà, solo raramente con altre.

È ormai forse impossibile credere in qualsiasi tipo di prospettiva condivisa tra le forze politiche che occupano il Parlamento. Ma a chi crede ancora in un futuro di programmi per il bene comune ci sia permesso di rivolgere un invito, proprio a ridosso del nuovo anno scolastico: la scuola prima di tutto.