I dati recentemente diffusi dall’Istat sul movimento della popolazione evidenziano la criticità della situazione demografica italiana: nel 2022 si è raggiunto il minimo storico della natalità (392.598 i bambini iscritti in anagrafe) e la mortalità è rimasta elevata, anche per effetto dell’eccesso di caldo nei mesi estivi (713.499 decessi). Il saldo naturale si conferma pesantemente negativo (320.901 morti in più rispetto ai nati) ed è stato solo parzialmente compensato dalla dinamica positiva dei movimenti migratori con l’estero (360.685 immigrati e 131.869 emigrati). La popolazione è quindi scesa ulteriormente: alla fine del 2022 i cittadini residenti erano 58.850.717 (quasi 966.000 in meno rispetto all’inizio del 2019, pari a -1,6%).

La tendenza al calo demografico ha investito anche l’Emilia-Romagna, seppure con minore intensità. Tra l’inizio del 2019 e la fine del 2022, le persone residenti in regione sono calate di oltre 32.500 unità (-0,7%), per effetto di valori della natalità molto bassi, di un elevato numero di decessi e di saldi attivi dei movimenti migratori che non riescono più a compensare interamente il pesante deficit del saldo naturale. La città metropolitana di Bologna si inserisce in questa tendenza: nei quattro anni considerati la popolazione residente si è ridotta di quasi 5.900 unità (-0,6%) e alla fine del 2022 ammontava a 1.011.659 persone.

Quello che viene definito “inverno demografico italiano” si è manifestato con nettezza anche nel territorio metropolitano: nei tre anni della pandemia la natalità ha registrato valori molto bassi e nel 2022 si è raggiunto il minimo con 6.820 nati. In quindici anni il saldo negativo del movimento naturale si è progressivamente aggravato, con quasi un neonato in meno su quattro. Tra il 2020 e il 2022 si sono infatti registrati in totale 20.734 nati e 38.737 morti (53,5 nascite per ogni 100 decessi) e il deficit del movimento naturale ha così superato 18.000 unità. La perdita di popolazione è stata attenuata dai saldi attivi registrati nei movimenti migratori con il resto dell’Italia (+12.962 persone nel triennio considerato) e con l’estero (+9.830 unità). Hanno invece giocato un ruolo negativo le variazioni legate a iscrizioni e cancellazioni d’ufficio (-5.021 unità) e alle rettifiche conseguenti al Censimento continuo della popolazione (-9.610 persone).

La pandemia ha aggravato alcune tendenze negative, che hanno un carattere strutturale: la bassa natalità riduce il numero dei giovani e il loro peso relativo sul totale della popolazione, ponendo serie ipoteche sulle prospettive di sviluppo sociale ed economico del Paese e anche del territorio regionale e metropolitano. Se guardiamo infatti allo squilibrio tra le nascite e i decessi, e alla deformazione nella composizione per età della popolazione, l’Emilia-Romagna e la città metropolitana di Bologna evidenziano una situazione molto simile a quella nazionale. La differenza nell’evoluzione demografica è da attribuire esclusivamente alla maggiore capacità di attrazione di persone, che dalle altre zone d’Italia e dall’estero decidono di trasferirsi in regione o nel territorio metropolitano.

Questa diversità positiva si è confermata negli anni della pandemia, anche se con valori ridotti a causa delle forti restrizioni alla mobilità, e si inserisce in un quadro nazionale che vede una situazione fortemente compromessa nelle regioni meridionali e insulari. La relativa tenuta demografica dell’Emilia-Romagna, della Lombardia e del Veneto è dovuta ai molti arrivi di giovani meridionali, che lasciano i luoghi natali per trovare in queste regioni migliori opportunità di studio, vita e lavoro.

La relativa tenuta demografica dell’Emilia-Romagna, della Lombardia e del Veneto è dovuta ai molti arrivi di giovani meridionali, che lasciano i luoghi natali per trovare migliori opportunità

Gli andamenti della natalità, della mortalità e dei movimenti migratori registrati a livello metropolitano negli ultimi decenni hanno determinato una struttura per età della popolazione fortemente squilibrata, con pochi giovani fino a 14 anni (12,3% del totale al 1° gennaio 2022) e una quota quasi doppia di anziani (24,6%). Nei prossimi anni questo divario nella presenza delle varie generazioni dovrebbe purtroppo accentuarsi: interessanti indicazioni per comprendere la possibile evoluzione dei diversi contingenti della popolazione sono offerte dalle previsioni demografiche elaborate dall’Istat con riferimento al periodo 1.1.2021-1.1.2031.

A livello metropolitano, una volta superati gli effetti della pandemia, nello scenario mediano l’Istat ipotizza una ripresa dell’incremento della popolazione (quasi 23.900 residenti in più nel decennio considerato, pari a +2,4%). Molto differenziate sono però le variazioni attese per i diversi gruppi di età, condizionate in modo decisivo dalle tendenze del movimento naturale e migratorio in precedenza richiamate.

Per effetto della bassa natalità degli ultimi anni nella città metropolitana di Bologna si dovrebbe registrare una significativa riduzione del gruppo da 0 a 14 anni, che potrebbe scendere da 126.333 persone a 113.981 (oltre 12.350 in meno): le più immediate conseguenze dell’“inverno demografico” si manifesteranno quindi nella contrazione di circa il 10% delle utenze potenziali dei servizi educativi e scolatici destinati a tale fascia di età (dai nidi d’infanzia fino alle scuole inferiori di primo grado).

I giovani da 15 a 29 anni dovrebbero invece registrare nel decennio considerato una variazione positiva (da 142.917 a 152.317 persone): l’incremento previsto di 9.400 unità è dovuto sia alla ripresa della natalità che si era registrata nel primo decennio del secolo, sia al permanere di forti correnti migratorie di giovani meridionali e stranieri.

Il gruppo di persone tra 30 e 44 anni dovrebbe invece registrare tra il 2021 e il 2031 un calo di oltre 3.900 persone (scendendo da 188.812 a 184.888), mitigato dalla presenza di saldi attivi dei movimenti migratori. Inizia così a manifestarsi una riduzione del segmento centrale della popolazione in età lavorativa, che dovrebbe accentuarsi nei decenni successivi.

La tendenza negativa dovrebbe riguardare anche il contingente tra 45 e 64 anni, che viene previsto in calo da 309.646 a 305.064 persone (quasi 4.600 unità in meno): anche per questo gruppo la contrazione dovrebbe accentuarsi nei decenni successivi, per effetto della progressiva uscita da tale fascia di età delle generazioni molto numerose nate negli anni Sessanta del secolo scorso.

L’ingresso dei “boomer” nell’età anziana condizionerà in modo decisivo l’evoluzione del gruppo tra 65 e 79 anni, che è previsto in forte aumento (da 160.107 a 187.425 persone, pari a +17,1%). La lunga durata della vita che si registra nel territorio metropolitano dovrebbe incrementare anche il gruppo più longevo, in età superiore a 79 anni, che potrebbe vedere i propri componenti salire da 87.793 a 95.811. Per effetto di queste tendenze, al 1° gennaio 2031 le persone in età superiore a 64 anni residenti nella città metropolitana potrebbero superare le 283.200 unità (oltre 35.300 in più rispetto al 1° gennaio 2021).

La crescente longevità della popolazione e l’ulteriore calo dei bambini fino a 14 anni dovrebbero fare salire l’indice di vecchiaia da 196 a 248 anziani per ogni 100 bambini; l’indice di dipendenza (che esprime il rapporto tra persone inattive e popolazione potenzialmente attiva) potrebbe invece variare da 58 a 62 inattivi per ogni 100 persone in età lavorativa.

Le tendenze ipotizzate per il decennio 2021-2031: rilevante calo della fascia fino a 14 anni, contrazione contenuta delle persone tra 30 e 64 anni e forte aumento degli anziani

Le tendenze ipotizzate per il decennio 2021-2031, tenuto conto dell’inerzia dei fenomeni demografici, appaiono molto probabili: rilevante calo della fascia fino a 14 anni, contrazione contenuta delle persone tra 30 e 64 anni (dove si registrano i tassi di occupazione maschili e femminili più elevati) e forte aumento degli anziani. Nei decenni successivi dovrebbe intensificarsi la riduzione dei gruppi centrali della popolazione in età lavorativa e proseguirebbe la crescita degli ultra sessantaquattrenni, soprattutto nella componente più longeva (a seguito dell’ingresso dei “boomer” nella fascia con più di 79 anni).

Le conseguenze della trasformazione demografica sullo sviluppo sociale ed economico del territorio metropolitano appaiono evidenti e di ampiezza non trascurabile: la forte modifica nella composizione per età della popolazione cambierà gli equilibri del mercato del lavoro e farà sentire i suoi effetti su tutti i servizi pubblici e privati rivolti alle persone e sul mercato abitativo. In una società dove per alcuni decenni una persona su tre sarà anziana, e l’indice di vecchiaia si manterrà a lungo su valori prossimi a 300, diventerà inevitabile ripensare a fondo molti interventi e politiche, definiti negli scorsi decenni in un contesto di equilibri tra le generazioni che oggi è radicalmente diverso e viene previsto in ulteriore mutamento.