Ma sono davvero la cultura, la scuola e l’università la palla al piede di questo Paese? Ed è quindi proprio alla cultura che, in tempi di tagli e sacrifici generali, bisogna rivolgersi per turare le falle del bilancio pubblico? Viene da chiederselo oggi, davanti alla polemica lanciata da Alessandro Baricco – un maestro nel civettare con lo spirito del tempo – sulle sovvenzioni statali al teatro, alla musica classica, all’opera lirica. Tutti soldi da destinare, secondo lui, alla cultura di massa: l’unica di cui lo Stato potrebbe ormai farsi carico, e che comprenderebbe soprattutto, se non esclusivamente, la televisione e la scuola.

Ma la stessa domanda sorgeva spontanea anche nei mesi scorsi, di fronte ai tagli indiscriminati – com’è tornato a chiamarli anche il Presidente Napolitano – dettati dalla Legge Tremonti per scuola e università: tagli poi solo ammorbiditi dai Decreti Gelmini, strangolando di più le università “viziose” di quelle “virtuose”. Le università “virtuose”, per chi non lo sapesse, sono quelle che destinano meno del novanta per cento del budget al pagamento del personale: quando poi il comune di Palermo, secondo il “Corriere” del 26.2.2009, destina a questo nobile scopo il settantadue per cento. A proposito: solo per ripianare i debiti di quel comune, come il governo ha già fatto nel caso di Catania, servirebbero duecento milioni. Per certi debiti, evidentemente, i soldi si trovano; per la scuola e per l’università no.
Ecco, confesso che quando ho scritto, sul numero del “Mulino” uscito la settimana scorsa, che grazie alla tenaglia Tremonti-Gelmini tutte le università avrebbero finito per diventare “viziose”, e poi non sarebbero più riuscite a pagare il personale, temevo di fare del terrorismo; anche qualche lettore, ingannato dal tono ironico, avrà pensato a un’iperbole satirica. Macché: è tutto vero. Consultati rettori, presidi ed esperti, ho avuto la conferma che per l’università italiana vale la Legge di Murphy: basta fare una previsione catastrofica e subito si avvera. Dal 2010, anno per il quale Tremonti prevede un taglio di settecento milioni di euro, molte università non sapranno più come sbarcare il lunario.

Che fare, a quel punto? Temo che bisognerà applicare la ricetta Baricco: rifinanziare l’Università considerandola, o un tipo particolarmente noioso di televisione oppure, più banalmente, una scuola, sia pure diversa dalle scuole di scrittura creativa dello stesso Baricco. Non ci sarà neanche il tempo di  trasformare le Università in fondazioni private, come al ministro Tremonti non spiacerebbe: molte fallirebbero prima. In ogni caso, dunque, bisognerà ridare agli Atenei pubblici un po’ dei soldi scippati nei mesi scorsi: del resto, s’è mai visto uno Stato che lascia fallire la propria università? Me lo diceva anche quel promotore finanziario che voleva vendermi bond argentini: s’è mai visto uno Stato che non onora i propri debiti?