Lo scorso 2 maggio l’autorevole sito politico.com ha diffuso un documento scritto dal giudice della Corte suprema Samuel Alito, noto per le sue idee conservatrici, che si presenta come la motivazione legale della nuova sentenza che la Corte deve emettere a giugno e che abrogherebbe quella nota come Roe vs Wade, che quasi mezzo secolo fa (era il 1973) legalizzò il diritto all’aborto. Si tratta di una bozza ancora non definitiva, anche se il documento è autentico ed è ampiamente circolato negli ambienti della Corte (che ha ordinato un’inchiesta sulla clamorosa rivelazione, senza precedenti) e i repubblicani ne hanno fatto il loro cavallo di battaglia. Non è quindi da escludere che prima della sentenza vera e propria ci siano ulteriori cambiamenti.

Tuttavia, dato che la politica sull’aborto è sempre rimasta al centro incandescente della vita pubblica americana, il dibattito è scoppiato come un’artiglieria preventiva. Biden ha dichiarato che il documento mostra l’intenzione di cancellare diritti civili e individuali, una pratica che potrebbe estendersi all’eguaglianza matrimoniale e alla contraccezione. Le prese di posizione critiche dei democratici si sono moltiplicate e sono spuntate le loro armi a disposizione nel Congresso. La resistenza è demandata anzitutto alla piazza della protesta femminile, già presente in molte città, per la quale l’autorevole senatrice progressista Elisabeth Warren sta assumendo un rumoroso ruolo di leadership.

La speranza dei politici democratici è che questa controversia sull’aborto cambi il quadro dello scontro sul terreno delle elezioni intermedie di novembre, risollevando le loro possibilità di mantenere la maggioranza nel Congresso

L’altra speranza dei politici democratici è che l’irrompere di questa controversia sul terreno delle elezioni intermedie di novembre cambi il quadro dello scontro, risollevando le loro possibilità di mantenere la maggioranza nel Congresso, attualmente veramente al lumicino. Ai repubblicani basterebbe recuperare cinque seggi alla Camera per capovolgerla e la tradizione vuole che il partito del presidente in carica perda alle intermedie, ancor di più se la sua popolarità è sotto il 50%. I repubblicani sperano poi che l’irrompere dell’aborto come tema elettorale galvanizzi i loro sostenitori, riempia le piazze di movimenti pro-life e porti al voto quei conservatori che hanno cercato questa rivincita, carica di giudizi morali e religiosi, per mezzo secolo. Tuttavia, i contrari paiono essere poco più di un terzo dell’elettorato, anche se molto mobilitato. A detta di Robert Reich, democratico ed ex ministro del Lavoro di Clinton, in campo repubblicano le elezioni intermedie si starebbero rivelando un referendum su Trump come candidato presidenziale nel 2024 (dopo la vittoria di un estremista reazionario nelle primarie repubblicane in Ohio). La radicalizzazione della battaglia antiabortista, più la richiesta trumpiana di mantenere ben viva la Big lie, la «grande menzogna» secondo cui Biden avrebbe «rubato» le elezioni, nonché il reiterato peccato trumpiano di sostegno a Putin, sposterebbero il Maga («Make America great again», l’ormai popolarizzata sigla del trumpismo) verso un estremismo divisivo radicalizzato, dannoso per i risultati elettorali repubblicani. Tra gli indipendenti di orientamento conservatore, il consenso nei confronti di Trump è caduto al 26%, con il 68% che si è espresso esplicitamente contro.

Malgrado tutto, le elezioni intermedie restano per i democratici un passaggio difficilissimo. Finora il tema che ha dominato il campo elettorale e fatto crollare la popolarità di Biden al 42-43% è stata l’inflazione, cresciuta sino all’8,5% a marzo 2022 e non compensata dal buon tasso di occupazione o dal relativo apprezzamento dell’azione del presidente nella guerra in Ucraina, altro fattore che forse potrebbe modificare il terreno delle elezioni di novembre.

La sinistra femminista rimprovera al corpo centrale liberal-moderato del Partito democratico l’elusione di un sostegno chiaro all’aborto, e di averne evitato il termine a favore dei più blandi "libertà riproduttiva" e "family values"

Il Partito democratico è oggetto di intense pressioni che chiedono la sua rapida attivazione in difesa del diritto all’aborto. La sinistra femminista e progressista rimprovera il corpo centrale liberal-moderato del Partito di avere sempre eluso un sostegno chiaro ed esplicito all’aborto, avendone evitato il termine a favore del più blando «libertà riproduttiva» e dei «family values» di clintoniana memoria. Il Partito democratico ha infatti al proprio interno una minoranza antiabortista, e cerca anche il consenso dell’elettorato moderato, ipoteticamente antiabortista. L’ambiguità dei democratici ha lasciato campo libero all’iniziativa di numerosi Stati repubblicani del Sud e dell’Ovest che hanno approvato norme sempre più restrittive sull’accesso all’aborto, in particolare il limite delle 15 settimane di gestazione rispetto alle 23 che la norma nazionale attualmente permette, sino alla proposta del Mississippi che lo definisce un omicidio. Tutto ciò per convinzione, per la deriva reazionaria dell’anima trumpiana del partito, per mobilitare l’elettorato, e per sollevare casi costituzionali che portino il diritto all’aborto davanti alla Corte suprema conservatrice, contando sulla sua cancellazione. Siamo quindi davanti a uno scontro ampiamente annunciato. La previsione è che se la senteza del '73 fosse cancellata, molto probabilmente l’aborto sarebbe vietato in circa 26 Stati a predominio repubblicano.

Il senatore Schumer, capogruppo democratico al Senato, ha annunciato la presentazione della nuova legge Women’s Health Protection Act per consolidare il diritto legale all’aborto. Il progetto non ha alcuna probabilità di essere approvato. La risicatissima maggioranza democratica ha alcuni dissidenti antiabortisti nei suoi ranghi, e l’assurda regola dell’ostruzionismo richiederebbe la convergenza di almeno dieci repubblicani, prospettiva assolutamente irrealistica nell’attuale radicalizzazione del contrasto dei partiti. Si tratta di un gesto di bandiera, volto a prendere finalmente una posizione netta, a individuare con chiarezza favorevoli e contrari di fronte a un’opinione pubblica che sostiene in maggioranza questo diritto, e a lanciarlo ancora di più nel difficilissimo agone delle elezioni intermedie.

E adesso? È possibile che svolte ed evoluzioni siano ancora all’orizzonte. La Corte ha avuto una tradizione di giurisprudenza sensibile all’opinione pubblica, ai valori prevalenti, agli indirizzi della politica. È possibile che invece in questo caso essa voglia trumpianamente aprire una drastica divaricazione politico-sociale e valoriale con la pura e semplice cancellazione di Roe vs Wade? In sede di approvazione congressuale due dei nuovi giudici conservatori, Kavanaugh e Gorsuch, avevano detto che, pur non approvando l’aborto, lo ritenevano ormai «Law of the Land». Hanno cambiato posizione? Nulla di più facile, ma il fatto che il presidente della Corte, e custode delle sue tradizioni, il moderato giudice Roberts, non si sia ancora pronunciato indica che probabilmente non è affatto contento di una sentenza così lacerante, che riduce l’autorevolezza della Corte e la tinge di partigianeria. L’opinione del presidente non può cambiare la maggioranza, ma pesa moltissimo e potrebbe orientare la sentenza non verso una pura e semplice cancellazione ma verso ulteriori restrizioni rispetto a quelle che la Corte ha già adottato in passato (come l’adozione legale del limite delle 15 settimane).

Comunque vada a finire, un diritto fondamentale della privacy, dell’autocontrollo femminile sul proprio corpo e dell’autodeterminazione riproduttiva sta per essere eliminato o ridotto al lumicino.