Nell’attesa dei risultati definitivi (questa legge elettorale ci regala anche tempi lunghi per conoscere l’esito nei dettagli) si possono tentare alcune considerazioni a partire dal contesto politico e culturale in cui si è votato. Per non lasciarsi travolgere dall’impatto di una tornata elettorale che sconvolge gli assetti e provare piuttosto a rintracciare qualche punto fermo non puramente congiunturale.

Berlusconi ha manifestato la sua incapacità di passare la mano a un erede radunando una coalizione assai eterogenea – sull’Europa, sulle tasse, sull’immigrazione – ma capace di portare a casa eletti nei collegi uninominali, vedremo in misura quanto decisiva per l’esito della competizione. L’investitura di Tajani, all’ultima ora, è assai discutibile. Da poco eletto alla presidenza del Parlamento europeo, Tajani candidato premier si rivela come uno sgarbo istituzionale non da poco, che finirà per indebolire le posizioni italiane all’interno dell’Unione proprio quando sta per finire l’età d’oro del quantitative easing e della presidenza Draghi alla Bce. All’altro polo dello spettro politico a sinistra si sono già portati avanti col lavoro, che è quello di indebolire e mandare a fondo maggioranze di centrosinistra, con il nobile obiettivo di creare equilibri politici “più avanzati”. Scissione a sinistra dal Pd, incontro con la vecchia sinistra movimentista ed esito prevedibile: pattuglia parlamentare di testimonianza e possibile irrilevanza numerica nelle aule parlamentari.

I seggi non conquistati né dal Pd, con gli alleati minori, né dal centrodestra vanno al Movimento 5 Stelle: saranno tanti. Non così tanti da consentire un governo monocolore, ma abbastanza per condizionare in modo decisivo questa legislatura, ancor più che la precedente. In questi anni molte sono state le indagini che hanno analizzato il M5S, evidenziandone la struttura verticistica e la scarsa trasparenza, nonostante la pretesa di esercitare forme di democrazia diretta grazie a internet. Si può dire che questo nuovo arrivato nel sistema partitico italiano sia da accostare a quanto è accaduto in altri Paesi vicini, con la nascita di Podemos e Ciudadanos in Spagna e di En Marche oltralpe, che ha permesso a Macron di arrivare all’Eliseo superando al doppio turno il Fronte nazionale di Le Pen. Certo la coincidenza temporale consente di affiancare il M5S a questi movimenti contro l’establishment, alimentati dalle mancate promesse della globalizzazione, che ha distrutto posti di lavoro senza aumentare la presenza sui nuovi mercati.

Ma è possibile anche una lettura tutta italiana, o comunque una specificazione del movimento grillino come un ulteriore capitolo della relazione che lega le stagioni della politica italiana con il sistema dei media. I capitoli precedenti si possono richiamare per sommi capi.

La televisione nasce nel 1954 sotto il controllo del governo, della Dc in primo luogo. Affidata alle sapienti mani di Bernabei e di intellettuali di prim’ordine, durante il centrismo e il primo centrosinistra procede alla ri-costruzione della nazione e contribuisce in modo determinante – un secolo dopo l’Unità – all’unificazione linguistica del Paese e alla sconfitta dell’analfabetismo. Con la riforma della Rai del 1976 il controllo passa al Parlamento e produce la “lottizzazione” dei tre canali (assegnati a Dc, Psi, Pci) in uno dei capitoli più rilevanti del Compromesso storico. Lottizzazione che sopravvivrà per molti decenni a quella breve stagione politica.

L’autunno della Prima repubblica registra un altro cambiamento nel sistema televisivo: nel 1990 la Legge Mammì consente a Berlusconi di diventare il monopolista delle televisioni private. Premessa indispensabile per spiegare quello che accadrà dopo Mani Pulite: nel 1994, in poco più di due mesi di campagna elettorale, il Cavaliere sbaraglia la “Gioiosa macchina da guerra” di Occhetto e si insedia a Palazzo Chigi. Si realizza il sogno di tutti i leader populisti: entrare nel tinello di ogni famiglia all’ora di cena e fare propaganda dal video acceso. Ciò che seguirà non ha bisogno di essere richiamato qui: tutto ruota intorno alle alterne fortune di Berlusconi, spesso validamente soccorso dalle impazienze della sinistra estrema cui si accennava sopra.

Ogni fase del dopoguerra ha avuto il suo sistema televisivo. È la televisione che progressivamente ha sostituito i comizi e la propaganda porta a porta, quella pratica faticosa di suonare il campanello e presentare candidati, offrire informazioni, domandare pareri e bisogni. Gli altri mezzi sono stati progressivamente emarginati, a cominciare dalla stampa, che in Italia ha sempre avuto una circolazione particolarmente ridotta e che ha visto crollare i suoi volumi di vendita dopo l’arrivo di internet.

Appunto, internet: ha aperto una fase nuova nella politica italiana. Questa volta la sirena è ben più subdola: rispetto alla televisione ci dà la possibilità di manifestare la nostra opinione, certi che altri la leggeranno, così come noi leggiamo i commenti e giudizi “postati” da soggetti con nomi improbabili. Internet è incomparabilmente più potente dei network televisivi: questi al massimo possono suscitare un’ondata effimera di emozione, come Hollywood aveva dimostrato, in tempi non sospetti, con Quinto potere di Sidney Lumet (era il 1976). Per un popolo che ha inventato il proverbio “piove, governo ladro!” con internet piove sul bagnato. Beppe Grillo ha avuto il merito di comprendere che la rete è il mezzo idoneo a trasformare il mugugno individuale in voice collettiva, oltretutto con un enorme potenziale commerciale (pubblicità in rete) ed elettorale. Il risentimento e la frustrazione degli italiani non sono nati nel 2008 dal fallimento di Lehmann Brothers e dei mutui subprime. Il successo del libro di Rizzo e Stella, La casta, testimonia in che misura questo risentimento fosse diffuso e in cerca delle parole per dirlo – salvo poi reclamare a gran voce l’intervento dello Stato per riparare i danni di una mareggiata o di una gelata fuori stagione.

In dieci anni il risentimento non si è certo ridotto e anzi è stato canalizzato in consenso politico. Ad esso si è aggiunta la paura montante, anch’essa capitalizzata sapientemente da alcuni soggetti politici che oggi esultano. È una nuova gelata che si abbatte sulla nostra Repubblica. Ora si darà la caccia ai responsabili, e al solito ci si affannerà a distribuire se e ma a destra e a manca come se singoli fatti avessero potuto influire significativamente sull’esito delle elezioni di ieri, 4 marzo 2018, data che resterà nella storia. Nel frattempo, c’è chi spera nel disgelo.