Mi chiedo se è questo il modo in cui muore una democrazia. Da qualche ora sappiamo che la Lega e il M5S hanno finalmente raggiunto un accordo sul nome del presidente del Consiglio del governo di coalizione che sarebbero in procinto di formare. Si tratta di Giuseppe Conte, un professore di Diritto civile dell’Università di Firenze. La scelta è stata comunicata dai leader delle due forze politiche al presidente della Repubblica, che si è preso tempo per valutarla e, nell’esercizio dei suoi poteri costituzionali, decidere se dare il via alla formazione del nuovo governo conferendo a Conte l’incarico. In mancanza di meglio, l’alba del nuovo giorno ci consegna una vivace discussione sulle formule piuttosto vaghe, ma niente affatto inusuali, impiegate dall’ipotetico presidente del Consiglio per descrivere le proprie esperienze all’estero nel c.v. accademico reperibile online. Un tema senza alcun dubbio interessante, ma sul cui rilevo politico mi permetto di nutrire qualche dubbio. Dal profilo pubblico di Conte a me pare si possa ipotizzare una certa abilità di movimento nel mondo che si muove ai confini tra accademia e pubblica amministrazione, e la possibilità di rischiare la propria credibilità mettendosi a disposizione di un progetto politico dai contorni indefiniti e dal futuro incerto. Troppo poco per dire che sarà un buon politico, ma abbastanza per non sottovalutarlo. Preoccupa piuttosto il fatto che una parte consistente degli osservatori sembra aver dimenticato i fondamentali della democrazia (quella largamente imperfetta che abbiamo conosciuto negli ultimi due secoli, non quella ideale di cui si occupano i teorici normativi della politica). Le qualificazioni accademiche, nella misura in cui contano qualcosa, non si traducono in efficacia politica. Per rendersene conto non ci vuole un PhD, basta dare uno sguardo in giro.

Ciò detto, se vogliamo andare alla ricerca di ragioni per preoccuparsi, c’è solo l’imbarazzo della scelta. La maggioranza che potrebbe sostenere un ipotetico governo Conte si presenta come potenzialmente instabile, priva di una chiara idea del futuro del Paese: il “contratto” che la suggella è un coacervo di reazioni istintive e di politiche a malapena abbozzate. Le parti che appaiono più concrete di questo peculiare documento sembrano influenzate soprattutto dalla Lega, e sono sufficienti a mettere in allarme chi ha a cuore l’eguaglianza e i diritti. Provvedimenti irragionevoli, talvolta persino inumani, e  probabilmente controproducenti in tema di ordine pubblico disegnano il profilo di un governo il cui consenso si alimenta soprattutto della paura, e non sembra fare i conti con le prospettive di lungo periodo del nostro Paese. Produttività, Welfare, dinamiche demografiche, divario tra Nord e Sud, ricevono nel migliore dei casi un trattamento sommario, nel peggiore sono del tutto assenti. L’impressione è di una classe dirigente colta di sorpresa dal risultato elettorale e dall’esito delle consultazioni. Governanti per caso più che per vocazione.

La situazione appare ancora più grave se si guarda alle opposizioni. A destra c’è uno schieramento che va da Berlusconi agli ex fascisti. Pensare che coloro che sono stati tra i precursori dell’ondata populista cui stiamo assistendo in tutta Europa la contrastino sembra quantomeno azzardato. Nelle prossime ore, se il governo Conte dovesse avere il “via libera” dal presidente della Repubblica, saremo in grado di capire quale sarà l’atteggiamento reale di questa parte dell’opposizione. Nel frattempo sarà utile tener d’occhio la composizione dei dicasteri, e in particolare gli staff dei ministeri. Non è da escludere che tecnici di area vicini al centrodestra facciano la propria comparsa per dare una mano a un esecutivo che sembra, da questo punto di vista, avere un serio problema nel mettere insieme una compagine di governo in grado di funzionare almeno con un minimo livello di efficacia. A sinistra c’è il Pd, e non c’è molto da dire. Della crisi, forse irreversibile, di questo partito, ci stiamo già occupando. Lo abbiamo fatto con il saggio di Carlo Trigilia pubblicato nel numero 2/2018 e con diversi interventi online. La leadership di Matteo Renzi si è rivelata fallimentare. Non è chiaro se il partito riuscirà a esprimere un’alternativa credibile. Se i segnali sono quelli che abbiamo visto in queste settimane, c’è da dubitare persino che il Pd riesca a esprimere un’opposizione efficace.

Per quel che ci riguarda, noi cercheremo di fare la nostra parte. Abbiamo cominciato pubblicando un intervento di Gianfranco Pasquino sulla proposta di introdurre il vincolo di mandato, una delle più gravi tra quelle contenute nel “contratto”. Continueremo nei prossimi giorni, esaminando alcuni aspetti salienti di questo anomalo programma di governo. In attesa di vedere se e come questa complicata e poco rassicurante situazione politica potrà evolversi.

 

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