Sarà che in giro c’è sempre una gran voglia di elezioni, e dunque alla prima voce di un possibile voto anticipato l’attenzione generale lì si concentra, sarà che ormai gran parte dello spazio è occupato da fatti e fatterelli in un modo o nell’altro legati al chiacchiericcio romano, ma diverse notizie sui nostri media non si trovano. O se si trovano, hanno poco spazio. Peccato, perché molte volte ne meriterebbero. Prendiamo il caso dell’ultimo rapporto sulla corruzione nel mondo, stilato da Transparency International (TI). Basato sul Corruption Perception Index (CPI), il Rapporto mette in fila i “voti” – da 0 a 10 – ai diversi Paesi. Tra i Paesi con un bassissimo tasso di corruzione, spiccano Australia e Canada (8.7), a fronte di valori inferiori al 2 di Venezuela (1.9), Iran (1.8), Sudan (1.5) e di molti altri Paesi del Sud del mondo.

Si registra un rapporto direttamente proporzionale tra povertà diffusa e corruzione. Molto interessante, e significativa, è la serie storica, soprattutto per l’Italia. I dati disponibili permettono di mettere in sequenza i Rapporti dal 1998 al 2009. Il risultato ottenuto dall’Italia e progressivamente sempre peggiore. Mentre indipendentemente dalle leggere variazioni del dato – che si attesta sempre intorno al 5, anno più anno meno – sino al 2003 la posizione in classifica è costante (attorno al 40o posto), dal 2004 scende costantemente. Il miglioramento dei voti registrati da molti altri Paesi, a cominciare da quelli un tempo appartenuti al Patto di Varsavia, e dai due della penisola iberica, è un leggero peggioramento del dato italiano, ha fatto scendere nell’ultimo Rapporto il nostro Paese sino alla 63a posizione, con un indice di 4.3. Alcuni riferimenti utili: mentre l’Italia, anno dopo anno, scendeva in questa classifica mondiale della corruzione, guadagnavano posizioni Paesi come la Slovenia (6.6), la Polonia (5.0 / 49a posizione) la Repubblica Ceca (4.9) e la Slovacchia (4.5), il Portogallo (5.8) e la Spagna (6.1); ma anche, al di fuori dell’Europa, il Cile (6.6) e la Corea del Sud (5.5). Attualmente, sono in una posizione migliore di quella italiana, solo per citarne alcuni, Paesi quali la Turchia, il Bhutan, il Botswana, la Lituania. Non stupiscono certo i primi posti: Nuova Zelanda, Danimarca, Singapore, Svezia... (sul sito di Transparency International può essere consultata l’utile mappa interattiva). Ma i risultati, per quanto riguarda l’Italia, dovrebbero comunque fare riflettere.
Se qualche autorevole metodologo non ci convince dell’inaffidabilità dell’organizzazione e dei Rapporti annuali da essa prodotti, infatti (ma si tratta di un organismo che all’estero viene preso molto sul serio, come dimostrano i commenti usciti su Bbc World, dove il dato italiano viene sbandierato ben bene), occorre non considerare queste indagine alla stregua di noiosi e petulanti richiami all’ordine. Tra chi lavora nelle nostre istituzioni, c’è forse qualcuno disposto a occuparsene?

Nota: L’annuale Rapporto sull’Indice di Percezione della Corruzione (CPI), pubblicato per la prima volta nel 1995, è il più conosciuto fra gli strumenti di TI. E’ stato ampiamente riconosciuto, ponendo TI e l’argomento “corruzione” nell’agenda politica internazionale. Il CPI classifica 180 nazioni in base ai loro livelli percepiti di corruzione, determinati attraverso valutazioni di esperti e sondaggi d’opinione. Si tratta di un indice che determina la percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica in numerosi Paesi nel mondo, attribuendo a ciascuna Nazione un voto che varia da 0 (massima corruzione) a 10 (assenza di corruzione). È un indice composito, ottenuto sulla base di varie interviste/ricerche somministrate a esperti del mondo degli affari e a prestigiose istituzioni. La metodologia viene modificata ogni anno al fine di riuscire a dare uno spaccato sempre più attendibile delle realtà locali. Le ricerche vengono svolte da Università e Centri Studi, su incarico di Transparency International.