Il silenzio delle madri di piazza Galatasaray. “Lo hanno preso due uomini. Avevano il volto coperto e dicevano che lo stavano cercando. Da quel giorno, 7 dicembre 1993, la sua famiglia non ha più avuto notizie”. Così è scomparso Ahmet Kalpar, militante e attivista del Demokrasi Partisi, il partito curdo messo al bando nel 1994. A raccontare le storie dei militanti politici scomparsi sono le mamme dei desaparecidos, meglio noti in Turchia come kayiplar. Si riuniscono dal 1995 ogni sabato a mezzogiorno, nel cuore di Istanbul, davanti al Liceo del Galatasaray. Sono mamme, mogli, fratelli e sorelle, figli e figlie degli attivisti detenuti negli anni Ottanta e Novanta. La sistematica politica di arresti, infatti, inizia il 12 settembre del 1980, quando i militari annunciano il terzo golpe del Paese: “Le forze armate hanno assunto il controllo dello Stato per proteggere l'incolumità delle cose e delle persone’’. Un annuncio che inaugura uno dei capitoli più tristi della storia turca. La persecuzione politica contro i dissidenti è ferocissima: studenti, insegnanti, sindacalisti, militanti politici e docenti universitari divengono i bersagli del regime militare. Migliaia di persone sono arrestate e torturate. Il terrore, però, non finisce con la dittatura. Gli anni Novanta, infatti, danno inizio alla dura oppressione del popolo curdo: alla lunga lista dei militanti scomparsi si aggiungono i kayiplar.

Così, seguendo l’esempio delle Madres de Plaza de Mayo, anche quelle turche e curde, unite da un lutto negato, partecipano all’appuntamento del sabato. Ferite, addolorate, ma coraggiose, si dirigono verso la piazza del Galatasaray con lo striscione “Sappiamo dove sono i colpevoli. Ma dove sono i nostri figli?”. Portano tra le mani un garofano rosso e le foto dei volti dei giovani scomparsi. Una volta radunate davanti al liceo, il silenzio cala sulla piazza. È un silenzio che, in maniera ferma e risoluta, denuncia il crimine subito. Un silenzio che racconta i dolori e i tormenti delle madri che chiedono di sapere dove si trovano i corpi dei loro figli, un silenzio profondo ed esasperato che si contrappone alla disumana indifferenza delle istituzioni. Dopo alcuni minuti, le mamme prendono la parola. “Non vogliamo raccontare le nostre storie. Non c'è altro da dire perché tutti sanno. È il potere politico che continua a non ascoltare”: a parlare è la moglie di Fehmi Tosun, arrestato dalla polizia nel 1995. Anche lui, come tanti altri, non ha più fatto ritorno a casa. “Lo hanno arrestato, ucciso e sepolto. Ancora oggi non sappiamo dove sia”, racconta la moglie di Nihat Aydoan scomparso 17 anni fa dopo essere stato arrestato nel distretto di Mardin. Una per volta, con ordine, prendono la parola, spesso con voce tremante. Sul finire del sit-in, che dura circa 45 minuti, l’appuntamento è rinnovato alla settimana successiva.

Gli incontri delle madri ebbero inizio in seguito al ritrovamento del corpo di Hasan Ocak, arrestato nel 1995, strangolato dopo 5 giorni di detenzione e abbandonato nelle foreste di Bozhane. In seguito al rinvenimento del corpo, la polizia, pur conoscendone l’identità, decise di seppellirlo in un cimitero destinato a ignoti senza informarne la famiglia. La sua fossa venne ritrovata dai suoi parenti dopo 55 giorni. A partire da questo episodio, le mamme, fino al 1998, hanno sfidato la massiccia presenza delle forze dell’ordine. In diverse occasioni, infatti, sono state picchiate e caricate dalla polizia fino alla sospensione del sit-in nel 1998. Tuttavia, dopo circa 10 anni di pausa, nel 2009, sono tornate con la speranza di conoscere il destino dei loro figli. Ma la storia dei kayiplar è ancora una ferita che brucia. Attualmente, il movimento delle madri segue circa 1200 scomparse; tuttavia, per lo Stato turco, cercare la verità dei fatti significherebbe sfidare le basi ideologiche del Paese. Per questa ragione, lo Stato non ha mai avviato un’indagine che facesse luce sui casi dei giovani scomparsi. Se c'è chi preferisce non interrogarsi sul passato, le mamme non dimenticano la loro storia e, con la loro autorevolezza, rappresentano oggi un esempio di grande forza morale. Il loro silenzio, infatti, è assordante più che mai.