Musulmano per un mese. Nessuna bevanda alcolica prima, durante e dopo i pasti, digiuno da carne di maiale e astinenza dalle relazioni sessuali. E’ questa l’ultima proposta lanciata sul mercato del business a marchio islamico.  Questa volta a essere presi di mira sono i turisti. Non tutti però. Questa ultima novità di marketing  è offerta solo a quanti dimostrano di non essere fedeli musulmani, ma di aver interesse a scoprire il mondo islamico, le sue tradizioni, le sue pratiche, la sua mistica. “Muslim for a month”: è questo il nome del progetto creato dalla Blood Foundation, un’organizzazione che si adopera per incoraggiare la comprensione reciproca tra il mondo musulmano e l’Occidente. Credendo che esista una via alternativa allo scontro di civiltà annunciato nel 1996 dal politologo americano Samuel Huntington, la fondazione realizza da anni programmi di scambi culturali che mirano a costruire ponti tra le diverse culture. Avendo come sfondo la Moschea Blu di Istanbul, quanti avranno il coraggio di avventurarsi in questo nuovo tipo di vacanza potranno provare a immergersi nella cultura islamica, adempiendo ad alcuni dei doveri che ogni buon musulmano è chiamato a rispettare. Anche se viene comunque permesso di fumare qualche sigaretta, l’obiettivo del programma proposto  è sperimentare le pratiche dell’islam, prima fra tutte quella della preghiera che si recita cinque volte al giorno. Quando dai minareti della città un muezzin ricorda che è giunta l’ora di rivolgersi ad Allah, i turisti sono chiamati a fare le abluzioni che precedono la preghiera per poi rivolgersi verso la città santa della Mecca recitando i versi previsti. L’obiettivo del viaggio non è convertire il turista in arrivo in un credente musulmano, ma fargli conoscere meglio l’islam, una religione di cui in Occidente si parla solo per gli aspetti più violenti, propri esclusivamente delle frange estremiste. Per sottolineare che l’islam è qualcosa di diverso dalla violenza e che ha una ricca cultura alle spalle, particolare enfasi è dedicata alla mistica sufi, e soprattutto a Jala al Din Rumi, poeta del XIII secolo considerato da molti il massimo autore mistico della letteratura persiana.

Prima di “Muslim for a Month”, la Blood Foundation aveva già proposto un altro progetto, “Monk for a Month” . Coloro che si iscrivevano intraprendevano un viaggio che li portava in Tibet, dove trascorrevano qualche giorno in un monastero buddista. Secondo quanto dichiarato da Ben Bowler, un membro dell’organizzazione, questa prima iniziativa aveva riscosso molto successo in Occidente, visto  anche il crescente numero di persone attratte dal buddismo  e curiose di provare esperienze meditative. Più complesso invece coinvolgere turisti all’esperienza islamica. Anche per questo, in realtà, il programma non si dilunga per un mese intero, ma si concentra esclusivamente su nove giornate.  A partecipare alla sezione inaugurale del programma sono stati cattolici, agnostici, hindu ed ebrei provenienti da tutte le parti del mondo. Anche se nessuno si è convertito, spiega Bowler, ci sono stati tanti che hanno notato un cambio di atteggiamento e una maggiore comprensione dell’islam.

Dopo l’11 settembre, anche numerosi programmi televisivi e radiofonici, come Make me a muslim e The Retreat, avevano cercato di rendere questa religione più comprensibile ai non fedeli.  “Sono passati dieci anni da quel giorno, eppure i miei amici americani non riescono ancora a capire che noi non abbiamo alcuna colpa”, scriveva sul suo blog un giovane musulmano di New York lo scorso 11 settembre. “Molte delle cose che sento dire su noi musulmani sono false e c’è davvero bisogno di spiegare al mondo intero che non siamo in lotta con nessuno. Non siamo noi contro il resto del mondo, ma noi all’interno di questo mondo che amiamo”. Si fa sempre più viva, quindi, la necessità dei musulmani di aprirsi e confrontarsi con altre realtà per far conoscere da vicino quell’islam spesso mal rappresentato.