Venerdì 26 marzo è uscito in Gazzetta ufficiale il tanto atteso decreto per lo sviluppo. Si sa, questo è il “governo del fare”: ma nonostante l’impegno politico-mediatico, prevalgono i delusi. È deluso, ad esempio, chi, confidando nelle reiterate promesse di semplificazione, ha creduto di potere davvero fare a meno della Dia (dichiarazione di inizio attività) per i lavori di manutenzione straordinaria degli immobili, e sta scoprendo, invece, che norme regionali più restrittive rischiano di annullare le semplificazioni ostentate dal governo. Ma è deluso anche chi pensava che il decreto potesse aiutare a rilanciare, o almeno a sostenere, la domanda, per alcune tipologie di beni e settori particolarmente colpiti dalla crisi.Gli incentivi agli acquisti da parte sia di famiglie sia di imprese, assumono la forma di sconto effettuato dal venditore all’acquirente, ma solo dopo aver verificato la capienza entro un tetto di spesa fissato, caso per caso, dal decreto attuativo. A verificare la possibilità di soddisfare le richieste e a rimborsare il venditore saranno enti esterni alla Pubblica amministrazione, come le Poste, che verranno caricati di funzioni improprie, con possibili ripercussioni negative sull’attività tradizionale, e costi di gestione che dovranno essere rimborsati dallo Stato, ma che il decreto non precisa. A partire dal 6 aprile si aprirà una vera e propria corsa a ostacoli per arrivare prima e accaparrarsi le poche risorse disponibili, 300 milioni in tutto, disperse fra una decina di beni e settori: motocicli e moto elettriche, elettrodomestici a basso consumo, cucine componibili, abitazioni ecologiche, rimorchi, gru per l’edilizia, macchine ad uso agricolo, motori nautici, stampi per scafi da diporto, internet per i giovani. Le agevolazioni valgono per acquisti effettuati entro il 2010, ma le risorse rischiano di esaurirsi molto prima: per i motorini, ad esempio, si stimano al massimo 15 giorni. L’unico incentivo che assume la forma di riduzione delle imposte riguarda alcune spese di ricerca nel settore tessile, per la realizzazione di campionari. Non vi è però automatismo. Con meccanismi attuativi che non sarà semplice definire vi è anche in questo caso un tetto (70 milioni) che potrebbe persino già essere stato raggiunto, posto che ad essere agevolate sono le spese effettuate a partire dal gennaio 2010!
È dall’inizio della crisi che la politica del governo si caratterizza per un susseguirsi di premi e incentivi. Più che di politica economica, si tratta di un insieme crescente di microinterventi, tra cui è difficile scorgere una logica che non sia quella di disperdere in mille rivoli un po’ di risorse pubbliche (sempre meno a dire il vero), per tentare di massimizzare, nel tempo, il numero di beneficiari raggiunti da qualche spicciolo. L’anno scorso c’erano i frigoriferi, quest’anno le lavastoviglie, l’anno scorso l’auto, quest’anno i trattori, le gru e la nautica da diporto. Gli effetti economici sono incerti, a parte quelli ovvi di anticipo di spese già programmate. In alcuni casi, come quello delle spese di ricerca già effettuate (dal primo gennaio ad oggi) nel settore tessile, sono un vero cadeau ex-post, privo di ogni razionalità economica.
Dei 370 milioni dedicati agli incentivi per lo sviluppo, 100 non possono poi essere considerati veramente addizionali, in quanto provengono da fondi già istituiti a favore delle imprese e con finalità incentivanti: un po’ come quando si cerca di coprire tre pentole con due coperchi. Gli altri 270 milioni sono nuove risorse che vengono messe in campo, ma a rischio di aumentare il disavanzo e il debito pubblico. La loro copertura, infatti, è oltre modo incerta, in quanto deriva dai risultati attesi da una serie di misure di contrasto all’evasione, la cui efficacia è tutta da dimostrare.
Nel complesso, davvero un decreto poco utile sul piano economico e persino dannoso, per i costi di attuazione; l‘ultimo spot di una pessima campagna elettorale.