C’è da chiedersi quanto sia una strategia priva di rischi la corsa a delegittimare qualsiasi soluzione di governo si possa ipotizzare nel caso, che si continua a dare quasi per scontato, che dalle urne non esca una maggioranza di governo. Si può ben capire che i partiti considerino rischioso esporsi su un tema scivoloso da due punti di vista. Il primo è l’indebolimento che così si avrebbe nell’appello al voto per il proprio simbolo, se si ammette a priori che potrebbe non produrre una governabilità. Il secondo è il timore, altrettanto forte, di offrire armi agli avversari per la propria delegittimazione.

Con l’ossessione che circola per gli “inciuci” e/o per le alleanze innaturali, dirsi a priori disponibili a rompere quei tabù può diventare molto pericoloso. Così è vietato parlare di grandi coalizioni, che supporrebbero un accordo negoziato come in Germania. Anche la formula di un governo del presidente appare sospetta: sarebbe poi semplicemente un governo che si forma su invito di Mattarella ai partiti a deporre almeno per un po’ l’ascia di guerra, ma viene presentata come una forma ancor più subdola di grande coalizione.

C’è da chiedersi a cosa mirino in realtà i partiti se non ci sarà alcuna normale maggioranza di governo. Le ipotesi fantasiose alla Di Maio, una forza che va in Parlamento con un suo programma e chiede su quello una fiducia in bianco, sono frutto di mancata conoscenza dei percorsi istituzionali previsti dalla Costituzione e dalle leggi (nonché consuetudini). Ma a chi denuncia il presidente del Consiglio in carica perché fa campagna elettorale senza dimettersi è difficile muovere questo rimprovero, visto che ignora la storia di due secoli di democrazia nell’Occidente dove tutti i governi costituzionali sono sempre stati politici e hanno sempre fatto campagna elettorale.

Viene più semplicemente da pensare che ciò che molti hanno in mente come soluzione tampone sia un debolissimo governo senza alcun profilo politico che si faccia carico proprio solo della più ordinaria amministrazione in attesa che si possa tornare alla sfida delle urne con un nuovo sistema elettorale. Lasciamo stare la banale osservazione che vogliamo vedere come si potrà arrivare ad un accordo su questo punto se il Parlamento sarà balcanizzato come si ipotizza. Limitiamoci a ricordare che avere un esecutivo di quel tipo con quel che ci attende è lunare. Ci sarà da governare l’equilibrio economico per non compromettere la ripresa avviata, da intervenire sulla riforma della Ue, da contenere le lamentele di tutte le corporazioni che chiederanno conto della ricca lista di promesse elettorali.

Davvero si può credere che per governare una congiuntura del genere basti un governicchio alla mercé di un prevedibile Vietnam parlamentare?

 

[Questo articolo è uscito su «Il Sole - 24 Ore» del 24 gennaio 2018]

 

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