Intervenendo alla Buchmesse di Francoforte, il presidente dell’Aie Federico Motta dice che “è arrivato il momento di smetterla con i proclami d’amore per il libro e la lettura che non si traducono in azioni serie ed efficaci”. Non c’è dubbio, ha ragione da vendere. Ma quali possono essere tali azioni serie ed efficaci? 

Come ogni anno il “Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia” è l’occasione per fare il punto di un settore tanto cruciale nella vita di un Paese quanto sofferente nella sua sostenibilità economica, come direbbero gli amministratori più zelanti. Vediamo dunque i dati di quest’anno.

Nel complesso viene confermata l’immagine di un mercato che cambia molto rapidamente, toccato ormai da anni in profondità dalla digitalizzazione delle nostre abitudini e, al tempo stesso, colpito dalla crisi dei consumi che ha indotto le famiglie a rimodulare la spesa. Non c’è dubbio, d’altronde: meglio un prosciutto oggi, magari di pessima qualità, che due libri domani, anche se potrebbero insegnarci a cavare i piedi dalla crisi, o almeno a capirla meglio. È un mercato che gli analisti, scomodando Polanyi, chiamano “grande trasformazione”, dove cresce la vendita dei supporti per leggere digitale (ereader) e, più o meno in parallelo, la vendita e la circolazione dei contenuti che vi andrebbero caricati. Non abbiamo dati sufficienti a proposito dei download di ebook, perché Amazon (che sembra preoccupare gli intellettuali molto meno di Mondazzoli) i dati non li fornisce. Sappiamo però che il mercato degli ebook continua la sua crescita esponenziale, sia in formato epub (+64%) sia in formato pdf (+21%), e che oggi l’insieme del digitale nel mercato librario rappresenta quasi il 10% (9,4%, per la precisione; era circa il 5% nel 2011). Inoltre, ci è noto che il mercato del libro tradizionale continua a essere in sofferenza: -6,4% le copie “di carta” vendute, a fronte di un calo medio dei prezzi di copertina al netto dell’Iva della stessa identica percentuale. Nel complesso, si riduce il fatturato complessivo, passando da 3,1 miliardi (2011) a 2,6 miliardi (2014).

Ancora una volta sono dati che non sorprendono, soprattutto se messi in parallelo con quelli sempre più tristanzuoli relativi alla lettura. La “penetrazione” della lettura di libri nel nostro Paese è pari al 41,4%. E a calare sono soprattutto i lettori cosiddetti “deboli” (-6,8%, chi dichiara di leggere almeno un libro l’anno); quelli forti (per essere lettori “forti” bisogna leggere almeno un libro al mese) scendono anch’essi, ma limitatamente a un -0,4%. Dato, quello di un calo così rilevante dei lettori deboli, che si aggiunge alla perdita di quasi il 18% di lettori nella fascia giovanile e scolastica (dai 9 ai 19 anni).

Si tratta di cifre che non rischiano di essere sottoposte a letture diverse e contraddittorie ma che, ancora una volta, dovrebbero essere considerate, né più né meno, allarmanti. Si legge sempre meno, e soprattutto legge sempre meno chi ne avrebbe più bisogno (e perdonate la lagna pedagogica) – chi già non legge, chi è in piena età formativa.

Le librerie continuano a chiudere o, quando sopravvivono, rimangono di nicchia o sempre più trasformate in luoghi diversi (non necessariamente peggiori, ma nemmeno necessariamente migliori nella loro varietà di offerta merceologica, gastronomia inclusa) da quelli che abbiamo conosciuto. In compenso aumenta ancora l’ecommerce di libri fisici (dal 5,1% del 2010 si è passati al 13,8% del 2014). Amazon ringrazia, il nostro libraio di fiducia, se ancora abbiamo la fortuna di averlo, meno.

Nel frattempo, mentre queste tendenze anno dopo anno si confermano, continuano a mancare (cito dal rapporto) “quei supporti istituzionali che in altri Paesi riconoscono a librerie, lettura, biblioteche di pubblica lettura e scolastiche”. E si affollano le schiere di due distinte categorie: quelli che “tanto il libro è finito, c’è la Rete”, e quelli che con la loro appassionata e a tratti commovente azione trattano i libri come una sorta di razza in via di estinzione, da proteggere a ogni costo, accrescendo però in questo modo la ghettizzazione (o se vogliamo una certa visione tutto sommato elitistica) dell’oggetto libro, in netta contrapposizione con quel grande pezzo di mondo che ci circonda che è il non-libro. Ed è soprattutto a questo che le istituzioni richiamate all’ordine dall’Aie dovrebbero prestare attenzione. Se lo facessero, al di là degli spot, segnerebbero davvero un cambiamento di verso.