Sono trascorsi dieci anni da quando sette ragazzi sui trent’anni, in una notte d’inizio estate, affissero per le strade di Palermo migliaia di adesivi con scritto: «Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità». E dopo dieci anni il Comitato Addiopizzo, che di quel raid notturno è figlio, continua a essere uno dei soggetti più vitali del composito fronte antimafia. Anche per questa ragione, vale la pena tracciare un sommario bilancio di questa innovativa esperienza di mobilitazione e legarla ad alcune tendenze che investono l’intero movimento antimafia.
L’intuizione di Addiopizzo è nota: applicare al racket delle estorsioni, piaga storica dell’economia e della società di ampie aree del Mezzogiorno, il principio del
consumo critico. Se il pizzo, a conti fatti, è un costo d’impresa che si spalma sui clienti, le pratiche di acquisto proposte dal Comitato permettono ai consumatori di sottrarsi al pagamento della «tassa» mafiosa per antonomasia. Allo stesso tempo, orientando le proprie scelte verso negozi e imprese pizzo free, i consumatori critici favoriscono lo sviluppo di una rete commerciale esente dal pizzo e alimentano una consapevolezza delle ricadute non solo economiche dei beni consumati. La decisione degli attacchini antipizzo di passare all’azione maturò dopo una discussione circa la possibilità di aprire un pub, progetto che doveva però fare i conti con la sicura richiesta di pizzo.
Più in profondità, la loro scelta è volta a incidere sul connubio tra dinamiche economiche e atteggiamenti culturali che consente alla mafia di esistere e riprodursi. La fortuita concomitanza di questa loro riflessione con le dichiarazioni della vedova di Libero
Grassi all’indomani della sentenza di condanna degli assassini del marito – dichiarazioni sconfortate perché ad oltre vent’anni di distanza dal vile omicidio il pizzo era una pratica ancora molto diffusa – fu la molla affinché l’idea dell’attacchinaggio abusivo prendesse
forma.

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Riproduciamo qui l'incipit dell'articolo di Vittorio Mete, Il consumo critico antipizzo,  pubblicato sul “Mulino” n. 4/14, pp. 576-584.