La "guerra" tra Egitto e Algeria. Cairo, venerdì 8 maggio 2009: centinaia di giovani egiziani ballano e cantano in un parco della centrale isola-quartiere di Zamalek al ritmo delle melodie della cantautrice algerina Souad Massi. Sventolano bandiere algerine e l’atmosfera è di grande gioia e armonia.
Cairo, venerdì  20 novembre 2009: alle prime ore del mattino migliaia di egiziani tentano di raggiungere l’Ambasciata algerina ad appena un paio di chilometri in linea d’aria dal parco dove si era tenuto il concerto pochi mesi prima. Il corteo grida slogan antialgerini e invoca l’espulsione di tutti i cittadini algerini, a cominciare dall’ambasciatore Abdel-Khader Hadjar, dall’Egitto. Nei susseguenti scontri con le forze dell’ordine egiziane dispiegate a protezione dell’Ambasciata vengono distrutte auto in sosta, infrante vetrine di negozi, e feriti, secondo fonti ufficiali, undici poliziotti e ventiquattro dimostranti. È bastato un semplice incontro di calcio a far cadere le relazioni tra Egitto e Algeria ai minimi storici. Dopo una sfida al vetriolo in quel del Cairo il 14 novembre, le due nazionali  si sono trovate appaiate in testa al girone C della circoscrizione africana per la qualificazione ai mondiali in Sudafrica.  Ciò ha reso necessario uno spareggio, giocato tra imponenti misure di sicurezza il 18 novembre sul campo neutro di Khartoum, in Sudan. Il verdetto del campo è stato la vittoria per uno a zero  dell’Algeria, senza particolari episodi di gioco o decisioni arbitrali che potessero giustificare recriminazioni o rabbia da ambo le parti. Ciononostante, dopo la partita, ci sono stati episodi di violenza commessi da tifosi algerini nei confronti di egiziani, episodi che, una volta che la voce si è sparsa al Cairo, hanno a loro volta provocato la dimostrazione di cui sopra.
Hooliganismo? Reazioni isolate da parte di frange estremiste, disadattate, frustrate, della popolazione? Se queste, a ragione o torto, sono le giustificazioni invocate quando simili incidenti avvengono in Europa, la realtà in questo caso è sicuramente diversa, perchè in entrambi i paesi la tensione e il coinvolgimento per questi avvenimenti sono stati pressochè generali e il ruolo che hanno giocato i media sugli eventi di questa settimana di follia, fondamentale. Da oltre un mese le provocazioni si susseguono in ogni possibile arena, dai giornali ai talk-show televisivi, ai social network. La radio egiziana ha trasmesso ripetutamente le stesse canzoni patriottiche con le quali incitava le truppe nel periodo della guerra dello Yom Kippur (guerra d’Ottobre per gli egiziani) del 1973 mentre la Coca Cola ha diffuso uno spot pubblicitario nel quale veniva ricordata la storica vittoria sugli algerini nello spareggio per la partecipazione a Italia 90 e distribuito t-shirts commemorative. Il ruolo dei media algerini non è stato certo più responsabile. Un articolo apparso sul quotidiano algerino El-Shorouk che annunciava la morte di tifosi algerini dopo la partita del 14 novembre al Cairo ha provocato attacchi a uffici di ditte egiziane e a egiziani residenti in Algeria; lo stesso ambasciatore algerino al Cairo è intervenuto ripetutamente per smentire la notizia ma ormai i danni erano compiuti.
Cosa rimarrà di tutto questo? L’Egitto ha richiamato per consultazioni il suo ambasciatore ad Algeri e inviato una protesta ufficiale al governo algerino per la “caccia all’uomo di Khartoum”. La Federazione Calcio Egiziana si è ritirata dalla Lega Nordafricana e il sindacato dei musicisti ha interrotto le relazioni con la controparte algerina. Panarabismo? Fratellanza musulmana? Si è visto ben poco di questi ideali in questi giorni al Cairo e ad Algeri. E forse la più emblematica delle riflessioni è quella a cui invita Mohamed Omar in una vignetta sul quotidiano egiziano Al-Akhbar dove viene ritratto Binjamin Netanyahu mentre dichiara “Non abbiamo bisogno di negoziati di pace, né di armi nucleari. Il modo migliore di sbarazzarci degli arabi è semplicemente organizzare partite di calcio tra di loro”.