Con lo scandalo del Qatargate il Parlamento europeo vive il periodo più difficile della propria storia: siamo di fronte a uno scandalo di corruzione che può seriamente mettere a rischio l’autorevolezza dell’istituzione, se non dell’intera Unione europea. Per evitare che questa palla di neve si ingrandisca ulteriormente continuando a rotolare, le istituzioni europee devono procedere innovando profondamente i propri sistemi per contrastare corruzione e evitare ogni forma di conflitto d’interesse. In assenza di riforme significative in tal senso, le fila di coloro che vogliono un’Unione debole, asservita agli Stati, i cui governi tendono a guardare con ostilità la leadership dell’Ue si ingrosseranno ancora.

Ancora non è chiaro fin dove potrà arrivare l’impatto, comunque devastante, del cosiddetto Qatargate. Se siamo di fronte a un sistema di corruzione capillare e reticolato all’interno dell’istituzione (che potrebbe coinvolgere anche altri organi europei) – che potrebbe in questo caso richiamare alla mente la Tangentopoli italiana degli anni Novanta – o se si tratti di “alcune mele marce”. Le indagini e le perquisizioni sono in corso e ben presto si dovrebbe avere un quadro più completo. Le prime indagini – con i 1,5 milioni di euro in contanti trovati nelle abitazioni dell’eurodeputata greca Eva Kaili e l’ex europarlamentare italiano Pier Antonio Panzeri, dal 2019 presidente della Ong “Fight Against Impunity” – fanno già intendere la gravità della situazione. Sia Kaili sia Panzeri sono tra coloro che si definiscono difensori dei diritti umani e rappresentanti di un’istituzione comunitaria che si è sempre fatta portavoce, più delle altre, dello stato di diritto all’interno dell’Unione e nei Paesi terzi.

Qatargate mette quindi in discussione l’anima del Parlamento, sempre all’avanguardia e più progressista delle altre istituzioni sui temi sopra elencati ma anche su argomenti come la trasparenza, la rappresentanza democratica e l’integrazione politica dell’Ue. Per queste ragioni, la data del 9 dicembre cambia tutto e uno sforzo importante è ciò che ci si aspetta. Il discorso all’apertura della plenaria del 12 dicembre tenuto dalla presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola si è dimostrato efficace. Metsola ha mostrato rabbia e determinazione e capacità di azione, almeno in relazione ai poteri, piuttosto limitati, affidati al suo ruolo. Ha sospeso le mansioni di Kaili come vicepresidente del Parlamento a 24 ore dallo scandalo, decisione confermata con un voto degli eurodeputati poco dopo; successivamente, ha congelato la votazione per l'esenzione dei visti per il Qatar e il Kuwait e introdotto un dibattito sul Qatargate con il voto di una risoluzione all’ultimo minuto. L’unico rilievo che si può porre al suo intervento al Parlamento riguarda il diverso approccio verso gli eurodeputati, da un lato, e i Paesi terzi coinvolti, come il Qatar, dall’altro. Tutte le parti in gioco stanno negando il proprio coinvolgimento in questo giro di tangenti. Mentre però Metsola parla di corso di giustizia e di presunzione di innocenza per i primi, i secondi li chiama “attori maligni” evitando di applicare lo stesso equilibrio.

Il Qatargate è una ghiotta occasione per chi da anni combatte l'idea stessa di Europa unita, sia tra gli Stati membri sia all'interno degli Stati

Altra questione degna di nota è quella della rappresentanza dei gruppi di interesse all’interno dell’Ue. Infatti, al centro del dibattito politico sono tornati il controllo dell’attività dei lobbisti e la creazione di un ente Ue che controlli e sanzioni i conflitti d’interesse, entrambe misure chieste in prima istanza dal Parlamento europeo. L’Ue ha già un Registro per la trasparenza (però non obbligatorio e dunque assai limitato nel suo significato oltre che nei suoi effetti) che mira a monitorare l'attività dei gruppi di interesse. Per fare un esempio concreto, la Ong di cui Panzeri è presidente non è iscritta al registro. Sarebbe dunque importante rendere obbligatorio tale strumento, affinché possano essere tenute sotto controllo le attività dei lobbisti - i quali non devono essere demonizzati, come alcuni media hanno cercato di fare in questi giorni, ma semplicemente controllati. Insieme al registro, il Parlamento europeo aveva chiesto con una risoluzione approvata durante l’autunno del 2021, la creazione di un ente etico che si occupi di sanzionare casi di conflitti d’interesse. La Commissione europea aveva risposto alla richiesta del Eurocamera dicendo che a trattati esistenti non era possibile procedere con la creazione di tale ente. In uno studio pubblicato da tre professori universitari sul conflitto d’interessi presentato proprio al Parlamento europeo due giorni prima degli arresti, veniva analizzata la proposta dell’organo etico della risoluzione e venivano confutate le posizioni della Commissione europea sull’infattibilità. Alberto Alemanno, tra gli autori dello studio, criticò durante l’evento di presentazione la mancanza di volontà politica da parte della Commissione per la creazione di tale organo. Ma lo scandalo sembra aver cambiato anche le posizioni dell’esecutivo Ue: lunedì 12 dicembre, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha espresso il suo supporto per la creazione di un organo etico Ue per il controllo dei gruppi d’interesse.

Nel frattempo, coloro che da tempo si segnalano per le loro posizioni critiche o in molti casi fortemente contrarie nei confronti di Bruxelles non hanno perso l’occasione di attaccare e ironizzare sull’accaduto. È il caso del governo ungherese guidato da Viktor Orbán. Il Primo ministro ungherese ha attaccato i vertici europei con diversi messaggi sui social. In uno di questi, le foto delle borse di contanti sequestrati dalla polizia belga sono accompagnate dal commento: “questo sembra essere lo Stato di diritto!”. È non sorprende che Orbán non si sia lasciato scappare questa occasione, anche in considerazione del fatto che la settimana in cui è esploso lo scandalo è stata la stessa in cui parte dei fondi di coesione ungheresi sono stati bloccati dal “meccanismo di condizionalità”, una misura che ferma i fondi a un Paese membro qualora si consideri che la situazione dello stato di diritto è al di sotto degli standard richiesti da Bruxelles. Tra l’altro, un meccanismo figlio dello stesso Parlamento Ue che lo scorso settembre ha dichiarato che l’Ungheria non può più essere considerato un Paese democratico. Ma i deputati europei non sono rimasti silenti. Molti, come Daniel Freund e Guy Verhofstadt, hanno risposto a Orbán che la differenza è che in Belgio, a Bruxelles, i casi di corruzione vengono scoperti e perseguiti mentre in Ungheria regna l’impunità. Certamente questo scandalo rafforzerà la violenta polarizzazione tra Paesi come l’Ungheria, ma anche la Polonia, nei confronti di Bruxelles, così come li equilibri all’interno del Consiglio europeo, dove periodicamente i capi di Stato dei Paesi membri si riuniscono per discutere e prendere decisioni.

Le istituzioni europee, già messe alla prova più volte per affrontare crisi esterne, dovranno ora dimostrare la loro capacità di resistere a un episodio, ancora tutto da chiarire nelle sue dimensioni, che rischia di distruggere la loro credibilità

Tutti ancora da vedere saranno gli effetti sulle prossime elezioni europee, più vicine di quello che sembrano: primavera 2024. La campagna elettorale comincerà a breve, probabilmente già nelle prime settimane del 2023. Il Qatargate e la risposta allo scandalo sarà un tema cruciale per coloro che seguiranno la campagna elettorale da un punto di vista pan-europeo. Al momento lo scandalo sta prevalentemente coinvolgendo eurodeputati o personaggi di spicco legati ai socialisti. Metsola aveva chiesto di non strumentalizzare lo scandalo per fini politico-elettorali. Il Partito popolare europeo aveva rispettato questo punto per pochi giorni, salvo iniziare una campagna denigratoria sui social network nei confronti del centrosinistra. Anche questa dinamica può influenzare le alleanze delle prossime elezioni. Paradossalmente, la guerra in Ucraina ha avvicinato ulteriormente due famiglie politiche prima piuttosto distanti: i popolari e i conservatori, i cui partiti governano insieme in Italia e in Svezia. Se lo scandalo continuasse a venire politicizzato in questa maniera, la possibilità di un avvicinamento sostanziale tra i due gruppi potrebbe infatti velocizzarsi (e eventualmente tradursi, se le urne risultassero essere dalla loro parte, in maggioranza parlamentare).

L’Ue viene da anni in cui si è trovata a dover affrontare crisi profonde, come la pandemia e la guerra russo-ucraina. In tutte queste occasioni, ha fatto qualcosa in più rispetto a quanto aveva fatto in occasione di altre crisi, a cominciare da quella finanziaria del 2008 o dalla crisi greca nel 2015. Il Recovery plan, la campagna vaccinale, i pacchetti di sanzioni nei confronti della Russia, gli aiuti all’Ucraina e la capacità di accoglienza dei rifugiati, hanno dimostrato che l’Unione europea può essere un attore forte, e decisivo, se i suoi Stati trovano la capacità di individuare una comune volontà politica. Il Qatargate è un nuovo caso, drammatico, che mette alla prova non soltanto il Parlamento ma l’intero spettro delle istituzioni europee: occorrerà trovare, in questo caso anzi più che mai, trattandosi di una minaccia “interna”, una determinazione analoga a quella che ha mostrato ai cittadini europei e al mondo che l’Europa non è solo un nobile ideale ma una forza concreta che sa gestire i momenti di crisi.