“Amici della Costituzione unitevi”: è questo il manifesto del partito (che nell’attuale temperie è derubricato a “Lista elettorale”) immaginato da Paolo Flores d’Arcais dalle pagine di “MicroMega” (7/2013). Un movimento, non l’ennesimo partitino, che superi le inconcludenti iniziative di piazza che restano “a mezz’aria” (come quella del 12 ottobre), capaci solo di “smobilitare moralmente le masse”, per poi “fermarle politicamente”, per puntare direttamente mediante un leader riconosciuto (individuato o in Landini o in Rodotà) a un’indispensabile rappresentanza in Parlamento, “se non si è disposti a scegliere la via della rivoluzione in senso proprio (insurrezione violenta compresa)”.

Il programma sta nell’obiettivo di “realizzare la Costituzione”. Ma, il fine di questo movimento è, apertamente e in modo chiaro, quello di una “politica divisiva”, che fa carta straccia della natura compromissoria della Costituzione (o, meglio, propria di ogni costituzione). La linea del Piave è data dall’esigenza, per un verso, di indicare per nome i “nemici della Costituzione” e, per altro verso, di definire che cosa sia la “Costituzione” che deve essere realizzata. La pars destruens non è tanto l’elenco delle aggressioni costituzionali perpetrate e in corso di svolgimento ma, soprattutto, la denuncia dei responsabili di quello che è additato un “complotto partitocratico finanziario”, con “ingredienti mafiosi”: il vertice è “non lo spirito santo”, ma il “Lord Protettore” Giorgio Napolitano; lo “strumento esecutivo” il governo di grande coalizione “Lettalfano”. Condannando senza appello il comitato di “saggi”, incaricato di “fare a pezzi la Costituzione”, e una Corte costituzionale ormai “addomesticata” (il riferimento è alla nota e, evidentemente indigesta, vicenda sulle intercettazioni della Procura di Palermo nei confronti del Capo dello Stato). Questo movimento, verrebbe da dire, di salute pubblica, pur denunciando la politica che avrebbe reso la “Costituzione come programma di parte”, ha esso stesso un’idea partigiana e discriminatoria della Carta fondamentale.

Non tanto per il richiamo, un po’ ruffiano, ai valori della Resistenza e dell’antifascismo (rievocati per riaprire una, evidentemente non ancora sopita, nonostante la chiusura del terrorismo, polemica contro la “costituzione tradita”), quanto per la palese propensione a considerare “Costituzione” o solo alcune norme scritte o solo alcune letture molto orientate dei principi fondamentali. Quella da cui partire è una (non originale peraltro) interpretazione socialista, riattualizzata come “programma di Robin Hood”, che si regge sul preteso assoluto primato del “lavoro” sull’impresa o su qualsiasi altra attività di lavoro non subordinato; e su una concezione funzionalistica della proprietà privata, “piegata dalla sovranità popolare” o altrimenti da espropriare quale “bene comune”. Questo programma di depurazione, contro letture ritenute materialmente anti-costituzionali, si arricchisce poi di un laicismo emozionale e astorico, che vuole fare strame di uno “sciagurato” articolo 7 Cost., relativo ai Patti lateranensi tra Stato e Chiesa cattolica; nonché di un sentimento antieuropeo che, senza essere detto a chiare lettere, prende forma in un attacco alla riforma costituzionale sul cosiddetto pareggio di bilancio, che deriva proprio dal processo di federalizzazione europea, e dalle connesse, ineluttabili, esigenze di indirizzare gli stati verso politiche economiche responsabili e attente ai diritti intergenerazionali.

Non ho lo spazio per discutere delle proposte di riforma legislativa che sono pure avanzate in questo manifesto politico. Né, tantomeno, per dimostrare come proprio la Costituzione vigente esiga alcune necessarie modifiche (ma cfr. “il Mulino” 4/2013) che nel programma di “MicroMega” vengono soltanto sfiorate (ci si limita solo alla proposta di riduzione del numero dei parlamentari), dato che uno degli obiettivi di questo movimento è proprio quello di far saltare l’ennesimo tavolo delle riforme istituzionali. Voglio però sottolineare almeno come il carattere volutamente polemico e ideologico della proposta non può essere affatto scambiato né con la Costituzione vigente né con la sua realizzazione. Non solo perché contraddice il pluralismo dei valori costituzionali; ma anche perché elimina la naturale apertura del processo d’integrazione costituzionale.

Lavoro e impresa, proprietà pubblica e privata, libertà di religione e rapporti con le diverse confessioni, diritti delle generazioni di ieri, di oggi e di domani, sono, infatti, il terreno costituzionale sul quale si deve giocare ogni partita politica. La lotta per la Costituzione, per rispettare il “metodo democratico” (art. 49), implica non solo l’ossequio formale delle regole, ma soprattutto l’accettazione dell’altro, con conseguente messa al bando di qualsiasi schema amicus-hostis che non sia quello reso possibile con “le forme e i limiti” previsti dalla Costituzione (art. 1). Distinguere, utilizzando la Costituzione, amici e nemici, non appare soltanto la via per mascherare in forme inappropriate una linea politica tra le tante, ma è anche un tentativo molto sfacciato per imbonire i potenziali destinatari di quell’appello.