Nel suo intervento in merito a Ultima Generazione, Paolo Pombeni porta all’attenzione un punto fondamentale, su cui vorrei riflettere in questo mio breve commento. Come dobbiamo interpretare questo nuovo movimento? Dobbiamo identificare questa frangia radicale che lotta contro il cambiamento climatico come un fenomeno isolato o dovremmo piuttosto considerarla come parte di un movimento più ampio? Si tratta dunque dell’espressione isolata di una manciata di attivisti – come Pombeni tende a interpretare il fenomeno– o è parte di un più ampio movimento transnazionale?

In primo luogo, è importante ricordare che Ultima Generazione conta militanti in tutta Europa, e soprattutto in Germania, dove il movimento è molto più diffuso che in Italia. Nata sulla scia di Extinction Rebellion, realtà di attivismo emersa in tutto il mondo tra il 2018 e il 2022, Ultima Generazione intende attirare l’attenzione sulla crisi climatica attraverso azioni spettacolari non violente per le strade e nei musei d’Europa. Personalmente tendo a riconoscere la costola italiana di questo movimento come parte di una rete transnazionale molto più ampia, simile a quella che emerse durante il periodo di contestazione globale che ha seguito il Sessantotto.

Pombeni dimostra preoccupazione rispetto alle azioni oltraggiose dei giovani che hanno lanciato vernice (lavabile) sulla facciata di Palazzo Madama. Quando tuttavia gli storici del futuro guarderanno a questo periodo storico, quanti fiumi di inchiostro è probabile che verseranno sui giovani che bloccano le autostrade o gettano vernice sui capolavori – comunque protetti dai vetri – dei musei di Roma o di Firenze? Credo sia più probabile che la vedranno come l’azione dimostrativa di una componente di una rete più ampia, che comprende tanto gruppi di ambientalisti moderati come il World Wildlife Fund e il Sierra Club, quanto gruppi di ambientalisti veramente radicali e, di fatto, violenti. La distinzione è importante perché credo che gli storici del futuro non si concentreranno sul numero di gruppi di attivisti per il clima o sulle loro azioni, quanto sulle loro interazioni reciproche e sulle relazioni di questi con il sistema politico più ampio.

Prendiamo in considerazione il periodo che Pombeni conosce bene: la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Sebbene quel periodo possa essere ricordato per il gran numero di gruppi e movimenti che lo attraversarono, è più utile ricordare le interazioni che essi ebbero al suo interno. Ricordiamo come l’ascesa delle Brigate Rosse e di altri gruppi terroristici sia andata a minacciare i gruppi extraparlamentari esistenti, come Lotta continua. Fu proprio la sfida lanciata dalla sinistra terroristica a portare il gruppo ad adottare azioni sempre più violente per tenersi stretti i propri membri, come l’assassinio del commissario di polizia Luigi Calabresi dopo l’esplosione della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano. L’interazione tra le Brigate Rosse e i gruppi extraparlamentari è un esempio di quello che gli studiosi di movimenti sociali chiamerebbero un “radical flank effect” [un traino delle componenti più radicali] negativo, in quanto portò al declino dell’intera sinistra extraparlamentare.

Proviamo però a considerare una dinamica di interazione diversa, ossia un “radical flank effect” positivo. Quando gruppi estremisti del movimento urbano americano degli anni Sessanta minacciarono di usare la violenza per perseguire i propri obiettivi, ciò portò a concessioni nei confronti dei gruppi più moderati, che invocavano determinati tipi di riforme (ad esempio, una edilizia popolare più diffusa, un miglioramento dei trasporti pubblici, lo sviluppo della comunità), come dimostrato da Michael Lipsky nel suo volume Street-Level Bureaucracy.

Non credo che si possa tracciare un parallelo preciso tra i movimenti americani degli anni Sessanta e il movimento che oggi lotta contro il cambiamento climatico

Non credo che si possa tracciare un parallelo preciso tra i movimenti americani degli anni Sessanta e il movimento che oggi lotta contro il cambiamento climatico, ma proprio il periodo studiato da Pombeni offre alcuni esempi del tipo di “radical flank effect” positivo che Lipsky ha esaminato in America. Va ricordato ad esempio che alcuni gruppi femministi si staccarono dalle compagini maschili di Lotta continua e di altri gruppi extraparlamentari e furono proprio loro in gran parte responsabili della nascita dei consultori per la tutela della salute della donna negli anni Settanta.

Come valuteranno le generazioni future le azioni di piccoli gruppi come Ultima Generazione rispetto ai loro concorrenti riformisti? Ci sarà un “radical flank effect” di tipo positivo o negativo?

Azioni “estreme” come quelle messe in atto da gruppi tipo Ultima Generazione potranno portare gli italiani a riflettere più profondamente sull’attuale crisi del nostro pianeta

Nella prima ipotesi, i critici nei confronti di azioni come l’imbrattamento di Palazzo Madama si allontaneranno dal più ampio movimento di lotta contro il cambiamento climatico e sosterranno la repressione della sua parte più radicale. (A Milano, ad esempio, si sono già osservati tentativi di criminalizzare le loro azioni.) Nella ipotesi auspicabile di un traino di tipo positivo, le azioni “estreme” di gruppi come Ultima Generazione potranno portare gli italiani a riflettere più profondamente sull’attuale crisi del nostro pianeta e sul ruolo che i singoli possono svolgere nel costringere chi sceglie determinate politiche per il clima, a vari livelli, ad adottare le riforme necessarie per allontanare il più possibile, fino a scongiurarla, l’eventualità di un pianeta diventata del tutto inospitale per gli esseri umani.