Vento di destra in Israele. Tornata elettorale incerta in Israele, dove oggi sono chiamati alle urne 5 milioni e 700mila elettori (quasi 400mila in più rispetto alle legislative del 2009). Si vota con il sistema proporzionale e con lo sbarramento al 2%; i partiti concorrenti sono ben 34 e la legge elettorale permette il voto di lista ma non al singolo candidato.

La campagna elettorale è stata sostanzialmente sotto tono. L'agenda delle discussioni è stata abilmente dettata da Netanyahu, che ha cercato di mettere ai margini del confronto le questioni economiche. La stessa accelerazione sui tempi della convocazione degli israeliani al voto è condizionata, tra le altre cose, da due ordini di motivi: la necessità, a nuova legislatura avviata (sarà la diciannovesima dal 1948), di mettere mano a una pesante manovra di bilancio e l’insoddisfazione di una parte del mondo del lavoro, soprattutto i giovani, che si confronta con bassi salari e con una disoccupazione che ha ripreso a salire, stimata attualmente intorno al 7% dopo un lungo periodo in cui non aveva superato i cinque punti.

Mentre i sondaggi, dopo avere imperversato, ora tacciono per legge, l’unica cosa sulla quale tutti concordano è che la prossima legislatura del Parlamento nazionale sarà caratterizzata dalla preponderante presenza dei partiti di destra. Il baricentro politico del Paese già da tempo si è spostato in quella direzione e, in tutta probabilità, Benjamin Netanyahu, premier uscente, vedrà riconfermata per la terza volta la sua leadership. Tuttavia, il frazionamento della coalizione di governo potrebbe risultare rilevante negli equilibri a venire. Gli ultimi sondaggi hanno segnalato una diminuzione dei voti per il tandem Likud-Yisrael Beiteinu, che oggi conta su 42 seggi ma che le proiezioni danno a 32-35 scranni. A quello che è l’asse forte del cosiddetto “campo nazionale”, propriamente la destra nazionalista, si sommeranno i voti degli ultraortodossi dello Shas, che dovrebbero raggiungere i 10-12 seggi (contro gli 11 uscenti), quelli di Torah Unita (5 seggi uscenti) e di Hadash (4 parlamentari). Il panorama, tuttavia, si fa decisamente più complesso se si allarga lo sguardo ai nuovi soggetti. Sembra avere il vento in poppa Habayit Hayehudi (“Focolare ebraico”), lista fondata da Naftali Bennet, astro emergente della politica israeliana, che esprime le istanze degli insediamenti ebraici (comprendenti circa 500mila persone) nei territori dell’Autonomia palestinese, ma che è stimata intorno ai 12-14 seggi, con una forte sovraesposizione di consensi anche in Israele.

L’ascesa della destra, soprattutto di quella radicale, e la disastrosa frammentazione della sinistra sono due indici significativi dei mutamenti socio-demografici di lungo periodo

L’ascesa della destra, soprattutto di quella radicale, e la disastrosa frammentazione della sinistra sono due indici significativi dei mutamenti socio-demografici di lungo periodo che attraversano una società in costante mutamento e crescita numerica. Il numero dei laici che nascono o vengono a risiedere in Israele è in diminuzione proporzionale rispetto all’insediamento dei religiosi e delle enclave ultraortodosse. Il voto degli immigrati russi, peraltro, continua a indirizzarsi a destra. Il centro e la sinistra sono divisi al loro intero da competizioni e personalismi paralizzanti. Il tentativo di unire le forze, nelle settimane passate, non ha sortito alcun effetto. Mentre il partito centrista Kadima (27 seggi) è in via di dissoluzione, essendo accreditato per soli 2 seggi, i laburisti guidati da Shelly Yachimovich potrebbero passare dagli attuali 8 ai 16-17 che gli sono stimati. A ridosso di un Labour assai poco di sinistra e molto di centro si collocano poi le nuove formazioni come Yesh Atid (“C’è un futuro”) di Yair Lapid, sugli 11-13 seggi, l’Ha Tnua (“Il movimento”) di Tzipi Livni, promessa sfiorita della politica nazionale, con 7-8 seggi, e il più radicale Meretz, la sinistra pacifista, che è accreditato a 6 seggi, contro i 3 uscenti. Gli arabi israeliani, il 19% della popolazione, che spesso si astengono, probabilmente potranno contare sulla riconferma degli 11 scranni detenuti già in questa legislatura.

Cosa ne verrà fuori, in tutta probabilità? Un Netanyahu di nuovo primo ministro ma politicamente indebolito, punito alla sua destra, come alla sua sinistra, dal rapporto difficile con Obama e dall’ingombrante legame con Avigdor Lieberman, alleato necessario ma da molti guardato di traverso per il suo populismo e le vicende penali che lo chiamano in causa.