La vita e la morte di Franco Serantini, il ragazzo di vent'anni, sardo, figlio di nessuno, anarchico, colpito a morte dalla polizia a Pisa il 7 maggio 1972, sembrano una storia ottocentesca, ai limiti dell'invenzione settaria. Una storia priva com'è di ogni luce, colma soltanto di violenza, di ingiustizia.

Serantini nasce a Cagliari il 16 luglio 1951. Abbandonato all'orfanotrofio vi resta due anni. Dato in custodia a due coniugi siciliani, vive serenamente in quell'isola, sino a quando la nuova "madre" si ammala e muore. Nel 1955 il bambino viene così affidato all'Istituto del Buon Pastore della città sarda in un quartiere chiamato "Il Giorgino", una landa desolata in un paesaggio nordafricano.

È un ragazzino taciturno, infelice, bisognoso di affetto, in perenne conflitto con le suore che lo ospitano. Il tribunale dei minori lo destina al riformatorio di Pisa, il San Silvestro.

La vita di Franco muta rapidamente. In quella città ardente, una delle capitali della contestazione studentesca, si trova a suo agio. Pisa lo affascina, è la scoperta del mondo: si sente uguale agli altri, senza più quel marchio rovente di figlio di nessuno: n.n.

Studia, prende la licenza media, legge, la passione per la politica si accende anche in lui. Non ama la violenza, frequenta i giovani comunisti, poi i giovani socialisti, approda a Lotta Continua, il movimento egemone. È inquieto, detesta i capi, si avvicina agli anarchici. Si dà da fare, donatore di sangue, cameriere a Viareggio, lavora in un ufficio di perforazione schede, scrive su un quaderno tutto quello che gli salta in testa, piazza Fontana è il suo tema prediletto. Riesce a comprare un motorino, un Ciao usato color blu. La felicità.

Pisa, primi anni Settanta. Lotta Continua, la lotta politica, i conflitti interni al movimento: un'epoca da non rimpiangere ma da conoscere per la passione civile  che animava i giovani di allora

Il 7 e l'8 maggio 1972 si svolgono le elezioni politiche nazionali. La campagna elettorale è aspra, e alla vigilia del voto è in programma a Pisa un comizio fascista. Tre ore di guerriglia tra i giovani extraparlamentari e la polizia.

Franco Serantini è immobile sul Lungarno Gambacorti. Avrebbe potuto fuggire facilmente nei vicoli della Nunziatina, il quartiere popolare alle sue spalle, quando sente i passi dei poliziotti. Gli saltano addosso almeno in dieci, lo tempestano di colpi, coi calci dei fucili, i manganelli, gli scarponi, i pugni. Con ferocia, con crudeltà riversano su quel ragazzo inerme e solo tutta la loro furia e le loro frustrazioni. Viene massacrato, i 55 rilievi eseguiti sul cadavere nel corso dell'autopsia fanno da specchio al linciaggio. I medici, di lunga esperienza, rimangono atterriti.

Rinchiuso nel carcere Don Bosco, Serantini sta visibilmente male. Il magistrato che lo interroga non si accorge di nulla, anche se il ragazzo non riesce nemmeno a tenere la testa sollevata. Chiuso in cella di isolamento, il medico gli prescrive una borsa di ghiaccio da mettere sul capo. Nient'altro. Muore alle 24 e 45 del 7 maggio.

Franco Serantini è vittima di una doppia morte, quella selvaggia, responsabile la polizia, e quella delle istituzioni assenti: lo Stato usa ogni pretesto per non processare se stesso, per non far giustizia

Franco Serantini è vittima di una doppia morte, quella selvaggia, responsabile la polizia, e quella delle istituzioni assenti: lo Stato usa ogni pretesto per non processare se stesso, per non far giustizia.

Dalla vita Franco Serantini ha avuto in dono soltanto un grande funerale: partecipa tutta la città, con i compagni che con la guancia accarezzano la bara e le donne di Pisa che portano fiori e in nome della madre ignota piangono il figlio di nessuno.