È probabile che chi si è detto indignato per il fatto che il presidente Napolitano, durante il giro delle consultazioni per la formazione del nuovo governo, abbia incontrato Silvio Berlusconi, condannato all’interdizione dai pubblici uffici, si sia sentito rispondere che Berlusconi è il capo indiscusso di un partito politico e che incontrare qualcun altro in sua vece sarebbe stata un’inutile manfrina. Conta la sostanza e non la forma. E la sostanza, si dice, è che se Berlusconi decide di Forza Italia è con Berlusconi che si deve parlare quando si tratta di qualcosa che riguarda Forza Italia. Poco conta che sia fuori dal Parlamento: i parlamentari rispondono comunque a lui, che dal di fuori (“con le mani libere”) determina quanto e come prima la linea politica del partito.

Indignazione da cerimoniere bizantino, dunque, o da anima candida (cioè: da scemo) che si illude che una condanna all’interdizione significhi la scomparsa, almeno temporanea, dalla scena politica. Napolitano avrebbe guardato alla sostanza e non alla forma, e così via, fino all’immancabile esortazione da parte del nostro interlocutore di pensare ai problemi reali.

Bene, pensiamoci allora, ai problemi reali. E cominciamo a farlo con questo semplice esempio.

Mettiamo il caso che un anziano signore vi tagli la strada con la propria macchina mentre state tranquillamente pedalando sulla vostra bicicletta, e mettiamo il caso che voi lo mandiate a quel paese aggiungendo, per buon peso, due o tre insulti di quelli coloriti. Avete appena commesso il  reato di ingiuria, e se quel signore vi querela potete prendervi fino a sei mesi di galera o una multa fino a 516 euro. Mettiamo il caso, adesso, che a tagliarvi la strada con la macchina sia Giorgio Napolitano, che voi lo mandiate a quel paese e che gliene diciate quattro. In questo caso, non ve la cavereste con sei mesi, ma con minimo un anno di galera e massimo cinque, perché avete commesso il reato di Offese all'onore o al prestigio del presidente della Repubblica, previsto e punito dall'art. 279 del codice penale, che stabilisce: "Chiunque offende l'onore o il prestigio del presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da uno a cinque anni".

Si potrebbe dire che "nella sostanza" si tratta di due casi identici (qualcuno prende a male parole qualcun altro), ma sarebbe sbagliato. È proprio nella sostanza che i due casi sono diversi, molto diversi. La sostanza, infatti, è che queste due situazioni sono trattate dal diritto in modo differente, perché il nostro ordinamento ritiene più grave (molto più grave) la seconda rispetto alla prima. La sostanza, infatti, quando si parla di fatti rilevanti giuridicamente, è la definizione giuridica dei fatti, non la materialità di essi. Materialmente, Berlusconi è il capo di Forza Italia, e nel partito decide lui. Nella sostanza - la sola che qui conta: quella giuridica - Berlusconi è un condannato all'interdizione dai pubblici uffici (e a qualche anno di galera, ma soprassediamo), e incontrare il presidente della Repubblica per una consultazione è un pubblico ufficio. Si tratta, nientemeno, di un incontro formale che il presidente effettua per assegnare il mandato a formare il governo; e no, non importa se e quanto comandi nel tuo partito, importa solo che se sei interdetto dai pubblici uffici non puoi andarci e che devi mandare un altro.

L'invito del presidente è stato definito da alcuni inopportuno, da altri giudicato come politicamente sbagliato, perché avrebbe compiuto quel procedimento di riabilitazione politica di Berlusconi in altre sedi compiuto anche da Matteo Renzi: prima come segretario del Pd che concorda la legge elettorale con una persona che non può presentarsi alle elezioni; poi come presidente del Consiglio incaricato, che incontra nel giro di consultazioni una persona che non può far parte di nessun governo né può votare con l’opposizione. Inopportuno, in quanto non dobbiamo dimenticare che il presidente della Repubblica, in Italia, è anche il capo della magistratura, e se possiamo discutere se Napolitano abbia fatto bene o no a passar sopra al fatto di essere stato definito "un golpista" da Berlusconi (forse la cosa peggiore che si possa dire di chi ricopre la carica di garante della Costituzione), non so se si possa discutere molto del fatto che, ricevendolo, ha commesso uno sgarbo nei confronti del Tribunale e della Corte d'appello di Milano e nei confronti  della Corte di Cassazione.

I giudizi politici, tuttavia, sono in gran parte soggettivi. Per me, la riabilitazione politica di Berlusconi è una sciagura, per altri sarà una cosa bella. Tuttavia, non è l’opinabile questione politica a rilevare qui, ma la per niente opinabile questione di “sostanza”. Di sostanza giuridica, ripeto, che il capo della magistratura non può permettersi di ignorare. Tutti sanno che il presidente, in quanto supremo magistrato, può annullare le sentenze di condanna concedendo la grazia al condannato, e il caso Sallusti ci ha ricordato che il presidente può anche riformare le sentenze emesse dai giudici togati. Tutto ciò rientra nei suoi poteri, e per quanto sia sempre possibile criticare queste azioni dal punto di vista politico le stesse non sono altrettanto esposte a critiche dal punto di vista giuridico. Il presidente, però, come ogni altro cittadino, non può ignorare le sentenze e comportarsi come se esse non fossero, che è precisamente ciò che Napolitano ha fatto nel momento in cui ha messo in calendario quell’incontro con Berlusconi. È questo, non l’inopportunità politica, a rendere quella convocazione un atto di una gravità inaudita che, infatti, non ha precedenti nella storia repubblicana.

Forse, alla fine, il nostro ipotetico interlocutore non ha tutti i torti quando ci esorta a occuparci dei “problemi reali”. Bene, io credo che la constatazione del fatto che quell’incontro non sia considerato dai cittadini una cosa grave sia constatare l’esistenza di un problema reale, che riguarda il modo in cui sono gestite le istituzioni e, soprattutto, che riguarda il modo in cui noi ci raffrontiamo con esse.