Che cosa ne pensa Rajat della politica indiana. Nel maggio 2013, nel suo negozio all’interno del Lajpat Rai Market di Delhi, Rajat stava collegando la scheda madre di un vecchio videogioco a un grosso televisore. Mentre lavorava, mi raccontò che mercati come quello si stavano espandendo a macchia d’olio con innovatori dell’ultim’ora e commercianti pronti a sperimentare con qualsiasi cosa. «È parecchio strano che a emergere come gigante produttivo negli ultimi tempi sia stata la Cina, e non l’India, che pure ha una forza lavoro capace. Il problema sono i permessi e le licenze, che rendono difficile ai piccoli imprenditori mettere su le fabbriche in India». E senza neppure prendere fiato aggiunse: «Ma ho speranze se il Bjp (Partito popolare indiano) va al potere il prossimo anno. Il governo attuale, formato dal Congresso nazionale indiano, è molto corrotto e non ha fatto granché per usare le risorse di cui disponiamo. Con il Bjp sarà diverso, ha una visione chiara della direzione in cui l’India deve andare».

Erano in molti, tra i commercianti del Lajpat Rai Market, a trovare paradossale dipendere dalla Cina nell’importazione di videogiochi originali da pochi soldi per soddisfare il consumo di massa indiano. Secondo i commercianti, la situazione sarebbe in gran parte cambiata se il governo avesse adottato nei confronti del commercio al dettaglio un’etica di tipo flessibile, simile a quella cinese. Il Bjp sembrava il partito adatto a riempire le lacune: puntava a rendere l’India una potenza produttiva e a ridurre la regolamentazione non necessaria. Rajat, insieme ad altri al Lajpat Rai Market, sperava in un cambiamento a proprio favore nel caso in cui il Bjp fosse andato al potere sia al governo centrale sia nello Stato di Delhi.

Oggi, in India, le cose sono molto cambiate rispetto al 2013: il Bjp è al governo da quasi un anno. Ho incontrato di nuovo Rajat un paio di mesi fa. Mentre la conversazione toccava vari argomenti, Rajat ha iniziato a parlare della politica indiana e sentirgli dire che alle elezioni di febbraio per lo Stato di Delhi aveva intenzione di votare per l’Aap (Partito dell’uomo comune) mi ha molto sorpresa. L’ultima volta che gli avevo parlato, l’Aap non era neppure nella lista dei partiti che riteneva adatti ad aprire la strada a un futuro trionfante per l’India e per se stesso.

Nato dal Movimento anticorruzione indiano, l’Aap ha ottenuto un imponente slancio nel 2011 ed è stato fugacemente al potere nella seconda metà del 2013 nello Stato di Delhi. Il partito, guidato da Arvind Kejriwal, ha lasciato la scena dopo quarantanove giorni, quando l’attesa legge anticorruzione, il Jan Lokpal Bill, non ha ottenuto dagli altri partiti il supporto necessario.

Le elezioni nazionali del 2014  avevano visto trionfare il Bjp e tutto faceva pensare che l’Aap non fosse da tenere in considerazione nella contesa elettorale per l’Assemblea dello Stato di Delhi. Ma il fatto che Rajat avesse cambiato idea era piuttosto significativo. Volevo saperne di più.

Rajat mi ha spiegato allora come il Bjp, secondo lui, non avesse mantenuto le promesse elettorali. Invece di costruire un ambiente imprenditoriale accessibile a tutti, stava lavorando per gli interessi delle grandi compagnie; invece di ridurre le regolamentazioni, sembrava che si fossero moltiplicate nel giro di poco tempo. E anche il mercato, sosteneva convinto Rajat, aveva rallentato la sua espansione da quando il Bjp era al potere. «È diventato molto più difficile importare dalla Cina. Si sa come vanno le cose in questi mercati, gestiamo tutto sul momento, per esempio con i funzionari doganali. E adesso, all’improvviso, tutto è sotto esame», lamentava Rajat.

A un certo punto, i sogni presentati dal Bjp si sono dimostrati costosi. Invece di un governo che lasci libera cittadinanza ai vari attori commerciali, i commercianti hanno ora un governo con un approccio più istituzionale allo sviluppo. È molto probabile che in un ambiente di produzione pulito e controllato i piccoli commercianti di videogiochi, che sguazzano tra giochi piratati, console craccate e codici a barre manomessi, siano marginalizzati. E così Rajat è passato dall'altra parte: «Con l’Aap è tutto diverso, pensano alla gente comune, loro. Hanno molto più supporto negli slum di Delhi che altrove. Mi aspetto che l’Aap capisca i nostri problemi più di chiunque altro. Ci credo. La loro campagna porta a porta mi dà molta speranza. Ciò di cui abbiamo bisogno adesso è un governo che pensi davvero a noi e che porti presto a qualche cambiamento in positivo».

«Ma hai esaminato il manifesto politico dell’Aap?», ho chiesto a Rajat. E lui: «Non importa, vedo l’energia che il partito porta a casa. E, cosa ancora più importante, mi permette di credere che persino io ho la possibilità di cambiare il mondo. Questo è qualcosa, no?! Sento di avere sul serio il potere nelle mie mani».

La situazione è stata sorprendentemente chiara poco tempo dopo la discussione con Rajat, alle elezioni del 10 febbraio scorso, quando l’Aap ha demolito il Bjp conquistando 67 dei 70 seggi contesi. Gli indiani si stanno legando a un simbolismo politico diverso? Di certo, non basta più loro il ruolo di banca dei voti dell’uno o dell’altro partito. La gente comune vuole cambiare i giochi del paesaggio politico e l’Aap sembra essere il primo, tra i molti partiti indiani, a rivolgersi alla massa come attore politico per i propri diritti.