Nelle elezioni del 24 e 25 febbraio 2013 il Movimento 5 Stelle si è imposto come primo partito, riportando, alla sua prima prova elettorale su scala nazionale, quasi 8.700.000 voti alla Camera dei deputati, circa 45.000 in più rispetto al Pd, secondo partito e capofila della coalizione di centrosinistra. Da dove arrivano questi consensi? Qual è lo spazio politico che questo partito può aspirare a occupare? Chi, fra gli altri attori politici, deve temerne la concorrenza? Rispondere a queste domande è anche un modo per avvicinarsi alla “vera” natura di un movimento-partito che sfugge alle usuali classificazioni politologiche. Movimento di protesta? Neo-ambientalista? Ennesima reincarnazione di sentimenti populisti e anti-politici che dall’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini attraversano la penisola italiana? O, al contrario, una forza capace di ri-mobilitare una parte di elettori altrimenti apatici e distanti dalla politica?

Partiamo dalla geografia del voto, dove a colpire è l’omogeneità lungo tutta la penisola. A fronte di una media nazionale del 25,5% dei voti, la sola regione in cui il M5S scende al di sotto del 20% è la Lombardia (19,6%), oltre a Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, dove la presenza dei partiti etno-regionalisti rende la competizione molto peculiare rispetto al resto d’Italia. Anche le regioni in cui il M5S ottiene il primato dei voti, undici in tutto, ribadiscono l’assenza di precisi insediamenti territoriali: due si trovano nel Nord Ovest, due nel Nord Est, una nella “zona rossa”, tre nel Centro, tre nel Sud.

Anche scendendo a livello provinciale il dato di fondo sarebbe analogo: solo in undici province su 110 il Movimento scende al di sotto del 20%, che diventano nove se, di nuovo, escludiamo Aosta e Bolzano. Se guardiamo al contrario ai luoghi dove il M5S ottiene i suoi successi migliori, individuiamo 24 province in cui supera il 30% dei consensi, disseminate in quattro delle cinque aree in cui abbiamo suddiviso il Paese: 3 nel Nord Ovest (Genova e il ponente ligure), 6 nella zona rossa, sul litorale adriatico, da Rimini ad Ascoli Piceno, 7 nel Centro, in Sardegna, Lazio e Abruzzo, 8 al Sud, tutte in Sicilia. Non mancano comunque zone di forza nel Nord Est, dove il M5S si avvicina alla soglia del 30% nelle province di Venezia e Trieste e supera abbondantemente la media nazionale a Udine, Gorizia e Padova.

Il voto al partito di Grillo non si lascia ricondurre, dunque, a nessuna delle tradizionali mappe della geografia politica italiana della Prima e della Seconda Repubblica. Di più: quelle mappe le scardina, imponendo uniformità laddove fino a ieri erano evidenti difformità e persino linee di confine nette fra diverse sub-culture e comportamenti politici.

L’Istituto Cattaneo ha analizzato i risultati elettorali di undici città (Torino, Milano, Brescia, Padova, Bologna, Firenze, Ancona, Roma, Napoli, Reggio Calabria e Catania) sulla base della disponibilità dei dati a livello di sezione e cercando di ottenere una distribuzione geografica equilibrata. Per comodità espositiva, suddividiamo l’analisi fra città del Nord, della zona rossa e del Centro Sud, prima di trarre delle conclusioni di sintesi.

Nelle quattro città settentrionali i due partiti che pagano il tributo più alto al partito di Grillo sono il Pd e la Lega Nord. In due casi (Torino e Brescia) oltre il 30% di coloro che hanno votato per il M5S nel 2013 avevano votato per il Pd nel 2008, mentre questa percentuale scende a circa la metà nei casi a Milano e Padova. In quest’ultima città quasi la metà degli elettori a 5 Stelle proviene dalla Lega, che paga un tributo decisamente alto anche a Milano e Brescia, ma non a Torino, dove del resto aveva ottenuto, nel 2008, risultati molto più modesti (il 6,5% dei voti, contro il 17,5% di Brescia, il 15,7% di Padova, il 12,3% di Milano).

Altri flussi consistenti giungono, in tutte e quattro le città, dall’area della sinistra radicale e dell’Idv, ma anche, e questo è forse più sorprendente, dalla destra estrema, mentre è generalmente trascurabile l’apporto degli ex elettori del Pdl e dell’Udc. Molto più variabile invece il dato relativo a coloro che si erano astenuti nel 2008: consistente a Torino e Milano (rispettivamente il 25% e il 20% degli elettori del movimento di Grillo non si erano recati a votare nelle elezioni precedenti), ma insignificante nelle altre due città.

Nelle tre città della zona rossa (Bologna, Firenze e Ancona) il contributo degli ex elettori del Pd è ancora più considerevole, oscillando fra il 47 e il 58%. Rimane rilevante anche la percentuale di elettori provenienti dall’Idv (con la parziale eccezione di Firenze) e della sinistra radicale. Sul versante destro dello spettro politico, sono presenti flussi sia dalla Lega sia dal Pdl, sempre di dimensioni modeste e, nel caso di Ancona, anche dall’Udc. Ancora una volta sono presenti anche flussi dall’estrema destra e, in proporzione variabile, dall’astensione.

Infine le quattro città del Centro Sud. In tre di queste (Roma, Reggio Calabria e Catania), e contrariamente a quello che abbiamo osservato fino ad ora, gli ex elettori del Pd rappresentano una quota secondaria del voto al M5S. Ben più consistente invece la quota di elettori proveniente dal centrodestra e più specificamente dal Pdl nel caso di Roma, Napoli e Reggio Calabria, dal Mpa nel caso di Catania. Rimangono presenti ovunque flussi non trascurabili dalle aree della sinistra radicale, dall’Idv e dalla destra, ancora più significativi in considerazione delle dimensioni contenute di questi bacini di elettori. In ultimo, gli elettori provenienti dall’area del non-voto variano enormemente da una città all’altra: marginali a Napoli e Reggio Calabria, rappresentano invece circa un terzo dell’elettorato complessivo delle liste a 5 Stelle a Roma e Catania.

Proviamo a sintetizzare, in conclusione, gli elementi fondamentali emersi nell’analisi. In primo luogo, i due partiti che hanno dominato la scena nelle elezioni del 2008 cedono entrambi parte dei propri elettori al M5S, ma in misure e zone geografiche differenziate. Il Pd è il partito che paga il tributo più alto in termini di voti, e questo è vero in particolare per le città della zona rossa, ma anche per Torino, Brescia e Napoli. Parziali eccezioni sono riscontrabili invece a Padova e Milano, dove prevalgono gli ex elettori leghisti, e a Roma, Reggio Calabria e Catania, dove è più alto il contributo del centrodestra. Il Pdl porta infatti una dote di voti modesta o addirittura nulla nelle città centro-settentrionali, ma questo non può essere detto per Roma e per le città del Meridione, dove invece il flusso è consistente. Anche a Catania il M5S vede arrivare molti voti dall’area di centrodestra, ma questa volta dal Mpa di Raffaele Lombardo, che ha in questa città la sua storica roccaforte. Se da un lato è ovvio che aumentino le probabilità di attrarre voti da bacini più ampi, la frattura territoriale è talmente netta da andare anche oltre questa semplice chiave di lettura. In particolare, colpisce che nelle città del Centro Nord i simpatizzanti del Pdl non siano quasi sfiorati dal richiamo di Beppe Grillo. Un elettorato insensibile ai temi della moralizzazione della politica? È un punto sul quale varrà la pena tornare a riflettere in futuro, sulla base di dati più sistematici.

In secondo luogo, Grillo riesce a pescare voti lungo tutto lo spettro politico, incluse l’estrema sinistra e l’estrema destra. Se alcuni temi della campagna elettorale (ambientalismo, opposizione alle grandi opere, reddito minimo garantito) possono essere ascritti a un discorso politico chiaramente vicino a quello dei movimenti della sinistra alternativa, risulta più sorprendente l’attrattiva per l’area della destra estrema. Evidentemente il M5S è riuscito a intercettare in questa occasione tutte le istanze di protesta sociale, di qualunque orientamento politico. Alla luce di questi dati risultano più comprensibili, peraltro, alcune “aperture” di Grillo nei confronti di organizzazioni come Casa Pound – cui abbiamo accennato sopra – che avevano suscitato clamore nelle settimane precedenti alle elezioni.

Terzo punto, il M5S attrae elettori dalla Lega Nord, nelle città dove questa era maggiormente rappresentata nel 2008, e dall’Idv in tutte le città prese in esame. In diverse realtà il partito di Di Pietro arriva a cedere al movimento oltre metà dei propri elettori del 2008. Questi flussi non stupiscono, provenendo dai partiti che in passato si erano fatti interpreti dei sentimenti anti-establishment dei cittadini italiani. Del resto i leader di questi partiti sono facilmente assimilabili a Grillo, se non nelle tematiche, quanto meno nel repertorio populista e nella virulenza degli attacchi al malcostume della classe politica. Sicuramente gli scandali recenti che hanno coinvolto queste due forze politiche hanno pesato nel demotivarne gli elettori e nell’indirizzarli verso il nuovo portavoce della protesta. Come è già stato documentato si sono diffuse, nell’elettorato del M5S, opinioni tipicamente connesse al fenomeno populista: più che sentimenti anti-politici tout court, si tratta di una critica radicale ai meccanismi e agli attori delle istituzioni rappresentative – in primis i partiti – e di una visione semplificata della società, suddivisa in una classe politica corrotta e disinteressata dei problemi del Paese e in un popolo virtuoso, visto come corpo sostanzialmente unitario e coeso al proprio interno, se non per le artificiose divisioni ideologiche professate proprio dai politici per scopi puramente opportunistici.

Resta da considerare, infine, la capacità del M5S di ri-mobilitare l’elettorato allontanatosi dalla politica. In altre parole, di riportare alle urne coloro che nelle precedenti elezioni si erano rifugiati nell’astensionismo. In questo caso i dati emersi dall’analisi dei flussi elettorali non possono essere considerati conclusivi. In alcune città (Roma, Catania, Torino, Firenze, Milano) questo fenomeno appare decisamente rilevante, riguardando fra un terzo e un quinto degli elettori che nel 2013 hanno scelto il partito guidato da Grillo. Altrove invece (Brescia e Padova, ma anche Reggio Calabria e Napoli) solo percentuali trascurabili di elettori del Movimento arrivano dall’area del non-voto. L’argomento in base al quale il M5S avrebbe evitato, nelle recenti elezioni politiche, un tracollo della partecipazione ancora maggiore rispetto a quello che si è verificato deve quindi essere – quanto meno – sospeso in attesa di ulteriori verifiche empiriche.

 

 

Questo articolo, di cui una versione più ampia, corredata di tabelle, uscirà sul "Mulino" 2/13 a metà aprile, presenta i risultati di un lavoro di gruppo svolto all’interno dell’Istituto Cattaneo; hanno condotto le analisi: Pasquale Colloca, Enrico Galli, Francesco Marangoni, Gianluca Passarelli, Andrea Pedrazzani, Luca Pinto, Filippo Tronconi, Rinaldo Vignati.