L'ingestione e l'incorporazione di determinate pietanze costituiscono una componente fondamentale della nostra connessione con la realtà e il mondo esterno al nostro corpo. Il cibo influenza le nostre vite come indicatore rilevante di potere, capitale culturale, classe, genere, identità etniche e religiose. Un esempio centrale del potere materiale e simbolico del cibo si può riscontrare nel ricettario di fine Ottocento di Pellegrino Artusi: La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene che ha giocato un ruolo centrale nell’unificazione degli italiani partendo dalla tavola per proporre un denominatore comune alle tante cucine regionali e locali.

I ricettari di fatto hanno rappresentato per secoli un’autorità rispetto alla custodia e alla trasmissione dei saperi legati alla preparazione di vivande e al trattamento delle materie prime. All’apparenza solo utili manuali, i libri di ricette hanno tracciato le coordinate non per imparare a cucinare ma anche per demarcare culturalmente ciò che è lecito o proibito mangiare, ciò che è da ritenersi una prelibatezza e cosa no, hanno delineato le norme appropriate della tavola e la logica che governa il rito dei pasti per una determinata comunità. In altri termini, i ricettari hanno avuto per secoli un importante ruolo nella costruzione dell’identità culturale dei popoli sino a quando non ci si è resi conto di quanto la rappresentazione visiva del cibo potesse essere amplificata degli elementi sensoriali offerti dalla televisione.

I ricettari hanno avuto per secoli un importante ruolo nella costruzione dell’identità culturale dei popoli sino a quando non ci si è resi conto di quanto la rappresentazione visiva del cibo potesse essere amplificata degli elementi sensoriali offerti dalla televisione

Negli ultimi vent’anni possiamo constatare un aumento dell’interesse popolare per programmi dedicati alla cucina e alla cultura alimentare all’interno dei palinsesti televisivi di tutto il mondo. Se fino all'inizio degli anni Novanta la maggior parte dei programmi Tv legati alla cucina operava all'interno di una sfera in gran parte domestica, offrendo consigli a un pubblico prevalentemente femminile, con l’arrivo di canali dedicati come Food Network nel 1995 e piattaforme on-demand c’è stato un cambiamento nel modo in cui gli spettatori percepiscono e "consumano" i programmi Tv culinari. Questi programmi si iniziano a distaccare dalla finalità principalmente pedagogica degli albori diversificandosi in una varietà di generi e format: dal reality, al travelogue, alla competizione, al talent show portando a una spettacolarizzazione globale di piatti, ingredienti, tecniche e chef. Di fatto, oltre a diventare disponibili ventiquattro ore al giorno, grazie alle tecnologie digitali i programmi gastronomici e le personalità legate al mondo della ristorazione riescono a viaggiare transnazionalmente facendo circolare non solo diversi format televisivi ma anche le food culture nazionali attivando processi di ibridazione e scambi.

I cooking shows diventano una vera e propria officina di sperimentazione attraverso cui osservare tutti quei processi di costruzione simbolica veicolati e spettacolarizzati dalle diverse gastronomie nazionali. In particolare, i diversi programmi possono dischiudere dinamiche di costruzione identitaria che utilizzano il cibo come veicolo per rafforzare sentimenti di nazionalismo, o gastro-nazionalismo come l’ha definito la sociologa statunitense Michaela DeSoucey, oppure possono esaltare l’autenticità e l’esotismo di una cultura gastronomica feticizzandola, o ancora possono mettere in luce gli effetti della globalizzazione sulle ricette locali.

In altre parole, il modo in cui il cibo viene raccontato e rappresentato nei cooking shows rivela qualcosa di più di una semplice "fame" per lo spettacolo del cibo: essi diventano strumenti di costruzione e promozione dell’immagine di un Paese.

Con la spettacolarizzazione a livello globale del cibo l’autorità dei ricettari è andata via via frammentandosi in una molteplicità di voci: da celebrity chefs, a foodies, a blogger e food celebrities. Sono queste le figure che nel contesto mediale contemporaneo si pongono quali custodi, mediatori e influencer di specifiche culture gastronomiche.

Celebrity chefs , foodies, blogger e food celebrities: sono queste le figure che nel contesto mediale contemporaneo si pongono quali custodi, mediatori e influencer di specifiche culture gastronomiche

Se prendiamo come punto di riferimento l’Italia si possono osservare tre sguardi completamente diversi del Paese veicolati dai cooking shows. Prendiamo ad esempio i casi di Jamie cooks Italy (2018), Unti e Bisunti (2013-2015) e Masterchef Italia (2011-). Nel primo caso abbiamo un prodotto televisivo internazionale che vuole raccontare la food culture del nostro Paese a pubblici non italiani. Condotto dallo chef britannico Jamie Oliver accompagnato dal suo mentore Gennaro Contaldo il programma mira a scoprire località e ricette autentiche, tramandate e custodite di generazione in generazione dalle nonne d’Italia. Lo sguardo che Jamie Oliver privilegia è principalmente turistico e facilmente riconoscibile da spettatori globali che hanno sedimentato un’immagine del Bel Paese senza tempo, pittoresca, con tradizioni antiche e “autentiche”. Le ricette tentano sì di catturare le differenze regionali ma sono sempre poi tradotte in terminologie e preparazioni comprensibili e replicabili da un pubblico anglosassone. In questo caso la gastronomia italiana viene usata come un brand dalla facile esportazione.

Con Unti e bisunti, chef Rubio (Gabriele Rubini) propone un viaggio per l’Italia alla scoperta di ricette e gusti “in via d’estinzione”. Questo programma, indirizzato a un pubblico principalmente italiano ma che ha anche circolato in numerosi Paesi esteri, va alla scoperta di località lontane dalle classiche mete turistiche alla ricerca di una cucina popolare "primigenia" rappresentata come minacciata sia dalla globalizzazione sia dalle mode promosse da celebrity chef cosmopoliti. Avvolto da una narrazione quasi melanconica, il programma vuole promuove un’Italia rurale, orgogliosa delle sue tradizioni apparentemente immutate nel tempo cosparse di quinto quarto e impregnate di grassi, ovvero ben lontane dalla salutista dieta mediterranea con la quale viene pubblicizzata la cucina italiana all’estero.

Masterchef è un programma con un format che è stato adattato in più di cinquanta nazioni capace non solo di esportare una modalità di sfida culinaria di grande successo ma che ha anche promosso l’ascesa di food celebrities transnazionali. Tra queste saltano all’occhio Joe e Lidia Bastianich che da semplici ristoratori italoamericani sono diventati veri e propri ambasciatori della cucina italiana e del made in Italy negli Stati Uniti. Joe ha partecipato alle edizioni Usa e Italia di Masterchef diventando così una celebrity in entrambi i Paesi. Lidia, già abituata alle apparizioni televisive negli Stati Uniti, è approdata in Italia sulla scia della fama del figlio partecipando a diversi programmi televisivi come Junior Masterchef (2014-2015) e in La prova del cuoco (2000-2020). La loro fama costruita a cavallo tra due nazioni ha permesso di promuovere un’immagine della nostra Penisola esposta agli scambi e ibridazioni internazionali. Di fatto la presenza di queste due food celebrities ha promosso la diffusione di una food culture italiana che è fortemente radicata nelle sue peculiarità regionali e ai suoi prodotti locali però abilmente riconfezionata in modo da poter essere apprezzata e riprodotta da un pubblico internazionale.

La gastronomia italiana promossa dai Bastianich, infatti, è valorizzata attraverso le materie prime nostrane e ha portato a una consistente domanda di mercato verso questi "autentici" prodotti made in Italy. L’importazione di tali materie prime su un mercato globale ha condotto all’apertura di rivenditori di alto profilo come Eataly, frutto della collaborazione appunto dei Bastianich con Oscar Farinetti. Tale manovra, resa possibile anche grazie all’esposizione mediale di Joe e Lidia attraverso Masterchef, ha elevato lo status di cibi più o meno ordinari a una mercificazione di lusso per palati globalizzati. In altre parole, la gastronomia italiana viene proposta e rivenduta come brand.

Allo stesso modo di Joe e Lidia, chef famosi e altre personalità della food culture attuano una complessa operazione di selezione sia materiale sia simbolica. I milioni di consumatori responsabili del loro status di celebrità hanno accesso tramite la televisione alle loro rappresentazioni del cibo, ai loro stili di vita, ai libri di cucina, ai loro prodotti di marca e agli ingredienti sponsorizzati. Queste figure, infatti, non sono solo voci caricate di una autorità culturale e culinaria, ma sono anche profondamente radicate nelle politiche economie di produzione dei media e nella brandizzazione di tendenze e prodotti. Gli chef famosi producono un'estetica particolare in termini di consumo di cibo e stile di vita e incoraggiano il loro pubblico ad aspirare a quell'estetica e a quello stile di vita e professione. I cooking shows e la spettacolarizzazione del cibo, non hanno solo cambiato il modo di mangiare e bere a livello globale, ma hanno anche trasformato l'immagine della professione di chef che è passata dalla posizione appartata all’interno delle cucine dei ristoranti ai palcoscenici degli studi televisivi conferendo al contempo un elemento di glamour alla professione e all’industria culinaria.