Annoiandosi con le telepresidenziali. Il World Trade Center (Wtc) di Città del Messico è un edificio di 207 metri d’altezza e 52 piani situato non distante dal centro storico della città. La torre centrale, rotante, sorge sull’edificio di pianta rettangolare ed è un ottimo punto di osservazione, smog permettendo, sull’intera città. All’interno del Wtc, domenica 6 maggio, si è svolto il primo dei due dibattiti televisivi previsti per la campagna elettorale che terminerà con le elezioni del primo luglio prossimo. Al dibattito hanno preso parte i quattro principali candidati alla presidenza: Enrique Peña Nieto per il Pri, Josefina Vázquez Mota per il Pan e Andrés Manuel López Obrador per il Prd. Oltre a essi era presente anche Gabriel Quadri de la Torre, candidato di Nueva Alianza, partito minoritario ed ex alleato del Pri. Il confronto televisivo è stato trasmesso sul canale Televisión Azteca del multimiliardario Ricardo Salinas Pliego, che appena due giorni prima aveva dichiarato pubblicamente che «alla maggior parte della popolazione non interessa il dibattito». Forse proprio per questo motivo veniva trasmessa in contemporanea un'importante partita di calcio del campionato messicano. Strane alchimie di un Paese che ha fondato parte delle sue ricchezze sulle televisioni, rigorosamente private.

Il dibattito, organizzato nei minimi dettagli dall’Ife, l’Instituto federal electoral, non ha rivelato grandi sorprese. Il formato, rigidamente costruito con temi e sottotemi già diffusi in largo anticipo, certamente non ha contribuito a modificare il quadro precedente. A parte Gabriel Quadri de la Torre, forse più appealing in virtù del suo ruolo di outsider, gli altri hanno mantenuto un basso profilo. Non sono mancati accuse e colpi bassi, come quello rivolto alla candidata del Pan per le eccessive assenze dal suo scranno in Parlamento o come quando Lopez Obrador ha sostenuto che «una vittoria del Pri sarebbe fatale per il Paese, è l’equivalente del ritorno di Santa Anna dopo che per colpa sua è stato ceduto metà del nostro territorio», chiosando infine con l’affermazione che il vero coordinatore della campagna di Peña Nieto altri non è che l’ex presidente Carlos Salinas de Gortari, più volte al centro di scandali e, per questo, da anni rifugiatosi all’estero.

In sostanza, i risultati sono stati al di sotto delle aspettative. Chi si aspettava di più è rimasto deluso. I sondaggi alla vigilia del dibattito davano il candidato del Pri, nonostante una falsa partenza, con un vantaggio compreso tra i 25 e i 30 punti sugli altri due candidati. Era necessario, per invertire la rotta almeno nella parte finale della campagna elettorale, dare un segnale forte e diverso. Un messaggio capace di mettere in discussione le posizioni del Pri. Per motivi a volte politicamente inspiegabili o forse più semplicemente per strategie rivelatesi errate, la candidata del Pan e quello del Prd, nonostante la loro esperienza, hanno mostrato tutti i loro limiti.

Certo, i dibattiti difficilmente spostano sensibilmente gli equilibri elettorali, ma se proprio bisogna stabilire un vincitore, probabilmente, questi è da identificarsi in Gabriel Quadri, l’outsider che «guarda la classe politica con un miscuglio di spavento e delusione», come ha osservato León Krauze su "Letras Libres". Solo che per lui, e per la campagna in generale, appare come la classica vittoria di Pirro. Bella, ma inutile. A Enrique Peña Nieto, in partenza, bastava non perdere, non fare cattive figure. È lui, in sintesi, quello che con il minimo sforzo ha portato a casa il massimo risultato. Personaggio certamente anomalo anche all’interno dello stesso Pri, Peña Nieto non brilla per capacità comunicative, per il suo linguaggio e finanche per il suo orizzonte culturale, ma è innegabile, a questo punto, prendere atto del suo grande istinto politico. Probabilmente è proprio questo il fattore che, oltre alle alleanze che ha saputo stringere, non ultima quella con l'emittente Televisa, concorrente storica di Televisión Azteca, gioca a suo favore. Il Pan è reduce da dodici anni di governo del Paese. Perdere le elezioni significa interrompere un percorso, ma potrebbe significare anche tirare le somme e voltare pagina. Discorso diverso per il Prd, da sempre all’opposizione. Condannato, probabilmente anche questa volta, a una lotta impari contro i mulini a vento. Altrui e propri.