L’astensionismo salva Basescu. Alla fine ce l’ha fatta. Traian Basescu, presidente conservatore della Romania contro il quale la coalizione di governo aveva avviato una procedura di impeachment, resta in carica dopo che il referendum popolare convocato per domenica 29 luglio non ha raggiunto il quorum del 50% più uno fissato dalla Costituzione romena.

Si conclude così, almeno per il momento a favore del presidente, il conflitto che aveva contrapposto Băsescu ai due leader della maggioranza, Victor Ponta, attuale primo ministro e capo del Partito socialdemocratico, e Crin Antonescu, presidente del Senato ed esponente del Partito nazional-liberale. La crisi era iniziata lo scorso 6 luglio, quando il Parlamento romeno aveva approvato con voto a scrutinio segreto, con 256 voti favorevoli, 114 contrari e un astenuto, la mozione promossa da Ponta per la sospensione dalle funzioni di presidente della Repubblica di Băsescu. Accusato di violazione della Costituzione, essendosi avocato poteri che non gli competevano, e di aver adottato misure di austerità che avevano portato la popolazione a condizioni di vita inaccettabili, Băsescu aveva dichiarato di avere “la coscienza assolutamente tranquilla”, respingendo tutte le accuse e denunciando il tentativo della maggioranza di prendere il controllo su tutte le istituzioni. La campagna elettorale si era dimostrata particolarmente aggressiva da entrambe le parti, con il governo che insisteva sull’uso dei fondi statali per operazioni personali, tra le quali l’acquisto e l’arredamento di una lussuosa villa in un quartiere residenziale di Bucarest, e il presidente che parlava insistentemente di colpo di Stato, affermando che qualcuno avrebbe poi dovuto rispondere della crisi.

Il conflitto tra il presidente e la coalizione guidata da Ponta ha radici profonde. Già nel 2007, infatti, il Partito socialdemocratico aveva richiesto la messa in stato di accusa di Băsescu per violazione della Costituzione. Nonostante il parere negativo della Corte Costituzionale, peraltro solo consultivo, il partito aveva proceduto e ottenuto il voto favorevole del Parlamento, convocando come previsto dalla legge un referendum popolare. Il risultato della consultazione era però stato favorevole a Băsescu, premiato sia dal mancato raggiungimento del quorum (la percentuale dei votanti era stata del 44%), sia dal risultato (tre quarti dei votanti si erano espressi in suo favore). Băsescu era poi stato confermato in carica nelle successive elezioni del 2009. Tornati al potere circa due mesi fa in coalizione con il Partito nazional-liberale e il Partito conservatore, i socialdemocratici avevano riavviato il processo, mettendo in moto la procedura di messa in stato di accusa con una solerzia che aveva sorpreso la pubblica opinione.

L’opposizione si è giocata molto con queste consultazioni, a livello sia interno sia internazionale. Il governo Ponta è in carica da meno di tre mesi ed è comunque un governo “a termine”, essendo le prossime elezioni politiche previste per novembre. Con questa operazione ha rischiato di compromettere il vantaggio che ha accumulato negli ultimi mesi grazie proprio alla perdita di popolarità di Băsescu, ormai inviso ad ampia parte dell’opinione pubblica soprattutto per le misure draconiane imposte in nome del rigore economico. L’aprirsi di una nuova crisi politica in Romania ha inoltre sollevato preoccupazioni a livello internazionale. Esponenti della Commissione europea hanno dichiarato le loro perplessità per la velocità con cui la crisi istituzionale è stata aperta e portata avanti, paventando rischi per lo Stato democratico. Profonda preoccupazione ha anche manifestato l’ambasciatore americano a Bucarest. Alle obiezioni di una eccessiva e sospetta rapidità della crisi, i rappresentanti del governo hanno risposto che tutto si è svolto nel rispetto delle procedure previste dalla legge e che quindi non vi è alcun pericolo per la democrazia.

L’esito è stato in apparenza lo stesso di cinque anni fa, ma in realtà a tutti gli osservatori sembra chiaro che lo scenario sia assai diverso. Al voto ha partecipato circa il 46% dei romeni, una percentuale comunque rilevante per un Paese tradizionalmente con un alto livello di astensionismo e per una consultazione che si svolgeva durante il periodo estivo. Inoltre, a differenza del 2007, la stragrande maggioranza dei votanti (circa il 90%) si è espressa contro Băsescu, che appare oggi molto debole. Certo è che i prossimi mesi saranno decisivi per la Romania, un Paese in bilico tra crisi economica e istituzionale e instabilità politica. Il rischio è che i regolamenti di conti tra partiti o tra istituzioni ritardino ancora una volta la soluzione dei gravissimi problemi interni.