Elezioni europee: Romania. Le elezioni europee del 7 giugno hanno rappresentato un duplice test per la Romania.

Da un lato si è trattato della prima verifica per il governo uscito dalle politiche dello scorso dicembre, dall’altro della prova generale per le elezioni presidenziali del prossimo novembre. L’esito si può considerare in sostanza deludente per la grande coalizione al governo. Il Partito socialdemocratico (Psd) al 31,1% e il Partito Liberaldemocratico (Pdl) al 29,7% infatti hanno complessivamente perso otto punti percentuali rispetto a sei mesi fa, ottenendo 21 seggi complessivi (11 per il Psd e 10 per il Pdl) sui 33 disponibili, 5 in meno rispetto a quelli ottenuti nelle precedenti elezioni del 2007, le prime dopo l’ingresso del paese nell’Ue.
La vera vincitrice delle elezioni è risultata la destra estrema. Il Partito della Grande Romania (Prm) di Vadim Tudor ha ottenuto l’8,65% dei voti e 3 seggi, aumentando i suoi consensi di ben 5 punti percentuali rispetto alle legislative. Oltre a Tudor, è stato eletto nelle fila del partito anche il discusso uomo d’affari e proprietario della Steaua Bucarest, Gigi Becali, indagato per vari reati tra i quali il sequestro di persona. Nonostante i toni più moderati usati dal leader negli ultimi anni, il Prm in passato ha manifestato posizioni xenofobe e dichiaratamente ostili all’ingresso nell’Ue. In una tornata elettorale caratterizzata in quasi tutta Europa dal successo dei partiti di destra e degli antieuropeisti, la Romania, insomma, non fa eccezione. D’altra parte, il successo di un partito con una connotazione così estremista e personalistica come quello di Vadim Tudor può rappresentare un segnale d’allarme nella prospettiva delle prossime presidenziali. Non va dimenticato che nel 2000 Tudor arrivò a sorpresa al ballottaggio con il socialdemocratico Ion Iliescu. Allora l’opinione pubblica europea rimase profondamente colpita da ciò che stava accadendo in Romania e le autorità comunitarie fecero pressioni affinché i partiti moderati si alleassero a sostegno di Iliescu, facendo leva sulla futura adesione della Romania alle istituzioni comunitarie. Evidentemente questi argomenti non hanno più molta presa: il successo di Tudor può anche essere letto come un segnale di sfiducia e delusione dell’opinione pubblica romena verso l’Ue. I recenti risultati lasciano supporre che alle prossime elezioni presidenziali la storia si possa ripetere, o almeno che la collocazione del Prm possa essere decisiva nel turno di ballottaggio, anche perché il terzo partito romeno, il Partito Nazional-Liberale (Pnl), prima del 2008 alleato dei liberaldemocratici, ha perso numerosi consensi, passando dal 18,74% al 14,52%. Il ridimensionamento del partito ha spinto il presidente del Pnl, Crin Antonescu, a intervenire sulle organizzazioni locali del partito per cambiarne il gruppo dirigente.
La recente campagna elettorale si è contraddistinta, analogamente a quanto accaduto in Italia, per lo scarso riferimento a programmi e a questioni propriamente politiche e, ancora meno, europee. All’interno del secondo partito del paese, il Pdl, si è infatti aperta un’aspra discussione sulla candidatura di Elena Bǎsescu, ventinovenne ex modella e figlia del presidente della Repubblica Traian Bǎsescu. L’assenza di esperienza politica della giovane candidata ha spinto ampie correnti del partito a non sostenerne la candidatura. La Bǎsescu si è quindi presentata come indipendente e la sua lista personale ha ottenuto una ottima affermazione: raccogliendo il 4,22% dei voti, è riuscita a conquistare un seggio al Parlamento europeo. Il suo successo ha convinto il partito a riammetterla al proprio interno. La riammissione della Bǎsescu è stata comunque utile ai liberaldemocratici per presentarsi come i veri vincitori delle elezioni: sommando infatti i voti del partito e quelli della candidata indipendente si sfiora il 34% dei voti. In questo modo il Pdl si può presentare come primo partito della scena politica romena, superando i socialdemocratici (31,1%) e guadagnando circa due punti rispetto alle politiche dello scorso dicembre. Al di là dei numeri, quello che sembra evidente è la persistenza di un panorama politico caratterizzato da due forti partiti, nessuno dei quali però è in grado di governare da solo e per ognuno dei quali è estremamente difficile trovare alleati. Il dato più sorprendente, comunque, riguarda il tasso di astensionismo: in Romania ha votato il 27,4% degli aventi diritto, ben al di sotto della media Ue del 43,4%. La cifra va interpretata anche alla luce del fatto che il livello di partecipazione al voto in Romania è calato progressivamente dal 1990 in poi. Tuttavia il 27,4% delle europee del 2009 rappresenta il minimo storico mai registrato in una consultazione elettorale ed è un dato che induce a riflettere in un paese i cui partiti politici e l’opinione pubblica hanno a lungo considerato l’adesione all’Ue come una priorità irrinunciabile.