La Colombia incorona il delfino di Uribe. Il 7 agosto è ufficialmente cominciato il post Uribe in Colombia. Nei fasti del centro coloniale di Bogotà, il neo presidente Juan Manuel Santos ha inaugurato un primo mandato conquistato per distacco (69%) al secondo turno di una tornata elettorale di portata storica per la longeva e travagliata democrazia colombiana. Con la vittoria di Santos per il paese si è infatti chiusa una fase politica, l’uribismo (iniziata nel 2002 e durata due mandati), che ha inciso indelebilmente sulle sorti politiche ed economiche della Colombia contemporanea. Tra il 2002 e il 2008 l’economia colombiana ha vissuto una notevole espansione (con un tasso di crescita medio superiore al 7%) in larga parte dovuta al radicale miglioramento della sicurezza interna garantita dall’offensiva militare dell’amministrazione Uribe contro quegli attori para-statali che hanno a lungo tenuto in scacco lo stato colombiano. Tenuto conto dell’inevitabile contrazione dovuta alla crisi finanziaria globale, oggi quella colombiana è una delle economie più promettenti del Sudamerica, alimentata da crescenti investimenti esteri diretti (che nel 2008 hanno toccato il picco di dieci miliardi di dollari) e sostenuta da una rete di accordi di libero scambio in costante ampliamento (ultimi in ordine di tempo quelli firmati con UE e Canada). Nonostante le ombre del periodo uribista (gli scandali della cosiddetta “narco-politica” che hanno investito il governo e il partito di Uribe, ma anche tassi di disuguaglianza e disoccupazione tra i più alti della regione), oggi la Colombia è un paese che ha ricominciato a guardare con fiducia al futuro.

Qual è dunque il significato politico della vittoria di Santos, delfino di uno dei presidenti più popolari (70%) degli ultimi cinquant’anni in Colombia? La Colombia esige continuità e prosperità. Il mandato dell’elettorato è uscito forte e chiaro dalle urne: avanzare nella costruzione di un paese nuovo e prospero, poggiante sui pilastri uribisti della sicurezza interna e dell’apertura all’economia mondiale, ma proiettata verso una fase nuova, quella che Santos nel discorso inaugurale ha definito “prosperidad democrática”. Lo scenario è oggi radicalmente cambiato rispetto al 2002, quando la Colombia, esausta, terrorizzata da sequestri e attentati, polverizzata geograficamente dall’esistenza di ampie aree sotto il controllo della guerriglia e delle forze paramilitari, si era gettata nelle mani dell’uomo forte, consegnando un assegno in bianco al conservatorismo populista di Uribe per rifondare il paese. La Colombia di Santos è assai meno disposta a sacrificare gli equilibri istituzionali, le procedure democratiche e la battaglia contro la povertà sull’altare della lotta al terrorismo. Senza abbandonare le prerogative militari e logistiche della strategia uribista di attacco frontale alle FARC (narco-guerriglia d’ispirazione marxista) e smobilitazione delle milizie paramilitari, il presidente Santos ha precisato come le nuove priorità dell’esecutivo saranno la creazione di posti di lavoro (il tasso di disoccupazione supera il 12%), l’ampliamento della rete di ammortizzatori sociali (rivolta al 50% di colombiani sotto la soglia ufficiale di povertà), la battaglia contro la discriminazione sociale e razziale radicata nel sistema educativo e sanitario, la riduzione del deficit fiscale, il completamento dei processi di smobilitazione di paramilitari e guerriglie (le cifre ufficiali parlano di oltre 53.000 paramilitari “riassorbiti”) e il reinserimento degli oltre 3 milioni di rifugiati interni nelle aree rurali della cintura amazzonica e della costa pacifica, un tempo teatro di eccidi perpetrati impunemente tanto dallo stato come dalle sue nemesi parastatali.

Se da una parte la “prosperità democratica” di Santos è dunque il frutto dell’uribismo, ne è anche necessariamente la sua evoluzione. Uribe ha fatto il lavoro sporco, per così dire. Senza l’offensiva militare del Plan Colombia, le forzature istituzionali e la brusca personalizzazione della vita politica degli otto anni del governo Uribe, la Colombia verserebbe probabilmente ancora nel limbo delle negoziazioni e di una spettrale auto percezione di stato fallito, braccato dalla spirale di violenza ineluttabile raccontata con maestria da Gabriel Garcia Marquez. Oggi, anche grazie al purgatorio uribista, il governo Santos gioca la sua partita su un piano diverso, più canonico e istituzionale. La grande sfida per Santos sarà dunque mantenere le dovute distanze dall’ingombrante figura di Uribe e dalla conflittualità degli ultimi otto anni senza perdere contatto con l’elettorato uribista. Santos ha d’innanzi a sé la grande chance di cominciare a costruire un’architettura socio-economica sostenibile e prospera che, anche grazie alla militarizzazione di Uribe, oggi può poggiare su fondamenta più solide, capaci di reggere il peso di un nuovo patto nazionale che vada oltre la lotta al narcotraffico e al terrorismo per abbracciare i dilemmi dello sviluppo e della redistribuzione della ricchezza.