Elezioni europee: Grecia. Una contesa dove è facile individuare uno sconfitto ma senza un vero vincitore. Questo pare essere il verdetto espresso dalle elezioni europee in Grecia.

Le urne hanno segnato un’avanzata del Movimento Socialista Panellenico (Pasok), guidato da George Papandreu, che ottiene il 36,64% e diventa il primo partito. Netta è la sconfitta per il partito conservatore Nea Demokratia (ND) del premier Costas Karamanlis, al governo dal 2004, che si ferma al 32,29%. Rimangono stabili i due partiti comunisti: il KKE si attesta all’8,35%, mentre Syriza è al 4,70%. Molto forte è la crescita del partito di estrema destra Laos, guidato del populista George Karatzaferis, che ottiene il 7,15% (alle politiche del 2007 aveva il 3,80%). Vanno bene pure i verdi, con il 3,49 %.
Prima di tutto, le urne hanno confermato un’erosione del consenso per il partito conservatore, ribadendo un trend negativo iniziato con le elezioni politiche del settembre 2007. In tale occasione ND, seppure uscita vincitrice con il 41,9% dei consensi, aveva registrato una netta perdita rispetto alla consultazione del 2004, quando aveva riportato il 45,4% dei suffragi. Da allora, Karamanlis ha visto la sua popolarità scendere sempre di più anche a causa di una serie di scandali che hanno coinvolto vari esponenti del governo. Il crollo avuto alla consultazione europea (-9,6% rispetto alle politiche del 2007) conferma che l’esecutivo di Karamanlis è in piena crisi.
Mentre non vi sono dubbi sulla sconfitta di Nea Demokratia, non si può neppure affermare che le urne abbiano sancito un trionfo per il Pasok. Il risultato ottenuto da George Papandreu merita il degno rilievo, poiché dopo nove anni il Pasok è tornato a essere la prima forza politica nel paese ellenico e il dato è ancor più significativo giacché rappresenta un’anomalia col contesto generale europeo, che ha visto i partiti socialisti sconfitti in modo pesante. Tuttavia, non è il caso di eccedere in trionfalismi, poiché si tratta pur sempre di un regresso rispetto alle elezioni politiche del 2007, che avevano attribuito al Pasok il 38,1%. Il partito socialista, pur riportando un dato positivo, non è riuscito a compiere quel balzo così evidente da poter gridare al successo pieno.
Il vero vincitore della competizione è stato l’astensionismo (48%), emblema della disaffezione dell’elettorato greco nei confronti della politica e della crescente sfiducia nei confronti dei due principali partiti, Pasok e Nea Demokratia. Negli ultimi anni la politica in Grecia ha subito cambiamenti profondi. Da modello di stabilità politica, archetipo di una competizione di natura bipartitica e centripeta, si è passati a una frammentazione che rischia di sfociare nell’instabilità. Alle elezioni legislative del 2000, i due maggiori partiti raccoglievano l’86,5% dei voti (43,8% Pasok e 42,7% ND). Percentuale simile si registrava nel 2004, con l’85,6% (45,4% ND, 41,2 al Pasok). Nel 2007 la somma totale, pur se in regresso, era comunque pari all’80% (41,9% ND, 38,1 Pasok). Dopo queste elezioni, il totale dei voti di Nea Demokratia e Pasok non arriva neppure al 70%. Segnale indiscutibile che il contesto sta mutando in maniera significativa ponendo a rischio il bipartitismo, fino ad oggi asse portante del sistema politico greco.
La situazione attuale è assai complessa. Il governo, che si regge su un solo deputato di maggioranza, non sembra intenzionato a dimettersi per convocare elezioni anticipate. D’altronde, il paese non è pronto a una chiamata immediata alle urne. Il Pasok non è abbastanza forte per creare un governo da solo e le formule politiche alternative non sembrano praticabili: troppo grande è la distanza fra i due maggiori partiti, a tendenza centripeta, rispetto alle forze estremiste di destra e sinistra. All’indomani delle europee, il contesto politico ellenico presenta, insomma, molte ombre e poche luci.