Un'amicizia ritrovata. Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan, a Bruxelles, aveva chiesto a Francia e Germania un segno di buona volontà: l'apertura di nuovi capitoli negoziali nel processo di adesione all'Unione europea, soprattutto il 23 e 24 – sulla giustizia e sulle libertà fondamentali – che determinano la qualità di una democrazia. François Hollande, in visita di Stato ad Ankara e Istanbul il 27 e 28 gennaio scorsi, ha risposto positivamente: “I negoziati devono proseguire nella trasparenza, nella buona fede, nel rispetto; su giustizia e diritti fondamentali è possibile fare passi in avanti”.

La Francia quindi non mostrerà più ostilità per la Turchia in Europa come nel quinquennato precedente e s'impegnerà a facilitarne il cammino verso gli standard europei; l'era Sarkozy è dunque definitivamente superata: ma per l'adesione vera e propria ci sarà da aspettare e sarà comunque subordinata – questo il messaggio per l'opinione pubblica, in vista delle elezioni europee in programma a maggio – all'esito di un referendum, perché “l'ultima parola spetta al popolo francese” (l'ultimo e recentissimo sondaggio in materia certifica un 83% di contrari).

Del resto, Hollande ha già adottato un approccio costruttivo sbloccando uno dei cinque capitoli – il 22, sulle politiche regionali – su cui il suo predecessore aveva posto il veto; rimangono da revocare l'11 (agricoltura), il 17 (politica economica e monetaria), il 33 (bilancio) e il 34 (istituzioni): si vedrà nei prossimi mesi. L'apertura del 23 e 24 – ancor più urgente a causa della crisi politica e istituzionale che sta investendo la Turchia – dipende invece da un cambio di rotta da parte della Repubblica di Cipro: a Francia e Germania si chiede soprattutto di esercitare pressioni convincenti.

La contropartita è il ritorno a pieno regime della partnership franco-turca, che per miopia politica da parte di Parigi – quella di Hollande è la prima visita di Stato dopo 22 anni – era stata danneggiata e ridimensionata. Basti pensare al campo economico: la quota di mercato delle aziende francesi in Turchia è passata in un decennio dal 6 al 3%. Per recuperare il terreno perduto, il presidente francese ha portato con sé una nutrita delegazione ministeriale e imprenditoriale: si è tenuto un consiglio dei ministri congiunto, con la partecipazione di Erdoğan; sono stati firmati numerosi accordi (energia, trasporti, infrastrutture); è stata espressa la volontà di portare rapidamente l'interscambio da 12 a 20 miliardi di euro, anche grazie a facilitazioni per gli uomini d'affari turchi nell'ottenimento dei visti. Un primo segnale del nuovo clima propositivo era arrivato, lo scorso anno, con la scelta di un consorzio franco-giapponese per realizzare la seconda centrale nucleare in Turchia.

La Francia ancora gode – un asset mal sfruttato – di un'immensa influenza culturale: i rapporti diplomatici tra i due paesi risalgono al XVI secolo, le élite tradizionali sono francofone, nella stessa lingua turca resistono migliaia di parole di diretta derivazione francese, e francofoni sono alcuni dei licei più prestigiosi e persino un'università a Istanbul. Si tratta dell'università di Galatasaray, “simbolo dell'amicizia franco-turca”, in riva al Bosforo: inaugurata da François Mitterand nel 1992, François Hollande vi ha tenuto un appassionato discorso sulla cultura e sui valori dell'Europa rivolgendosi alla gioventù turca.

I rapporti bilaterali hanno anche assunto una dimensione strategica, in virtù di un protocollo che istituisce incontri periodici tra i ministri degli Esteri; i due presidenti hanno mostrato convergenza di visioni e intenti sulla Siria e hanno svelato una collaborazione da tempo operativa contro il jihadismo internazionale, tanto che Hollande ha ringraziato Gül – anche a nome della comunità internazionale – per il ruolo umanitario a favore di settecentomila rifugiati siriani.

Resta da sciogliere il nodo della storia e della memoria: gli approcci divergenti sulle sorti degli armeni nel 1915 in Anatolia – un genocidio per la storiografia internazionale e per la Francia, ma non per la Turchia – che hanno portato quasi a una rottura nel 2012, quando il Parlamento francese legiferò per punire interpretazioni considerate “negazioniste” (quella ufficiale turca, quindi); i rapporti di nuovo cordiali e gli interessi economici in gioco – anche in questo caso – fanno sperare che prevarrà il buon senso.