Il filtro? Roba da comunisti. E non stiamo parlando di sigarette, ma d’una legge: quella nota come legge-bavaglio. Per due anni Silvio Berlusconi ci ha investito i suoi uomini migliori (detto senz’offesa): oltre al solito Niccolò Ghedini, l’apposito Angelino Alfano e il servizievole Giacomo Caliendo. È stato proprio Caliendo, il sottosegretario più intercettato del millennio, che con spiccato senso del comico ha dato la notizia: non: se ne fa più niente. Non intendeva: della legge-bavaglio, e della sua Weltanschauung da Minculpop. Intendeva invece: del divieto di pubblicazione delle intercettazioni fino al rinvio a giudizio. Ora invece, si dice… si suppone… Insomma, se il capo avrà la gentilezza di non “fraintendersi”, le intercettazioni si potranno pubblicare, ma solo quelle considerate rilevanti.

Lo decideranno il gip e le parti in una udienza-filtro, appunto.

In ogni caso, siamo (quasi) tutti in festa. Anche negli anni a venire potremo essere informati per tempo su chi, e come, intende divorarsi il paese, istituzioni comprese. Cioè, no. Non è proprio così. Nell’euforia per lo scampato pericolo corso dal più sovietico degli articoli della nostra Costituzione – il 21, che ha l’impudenza di recitare: «La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure» –, in questa euforia, dunque, corriamo il rischio di dimenticarci il resto. E il resto è che ancora le intercettazioni sono sottoposte alla regola dei 75 giorni di durata massima (per quanto aumentabili di 15 in 15, e non più di 3 in 3). Che cosa c’entri questa limitazione con la tutela della riservatezza, è questione oscura.

Meno oscuro è invece il motivo per cui Berlusconi s’è dovuto arrendere, se davvero s’è arreso. A parte il crollo nei sondaggi, se li è anche trovati tutti contro. Passi il Presidente della Repubblica, e passi quello della Camera. Il fatto è che s’è trovato contro addirittura l’opposizione. Son cose, soprattutto l’ultima, a cui il poveruomo non è abituato. E così ha ceduto. Ma con sofferenza e rammarico.

Bisogna capirlo, dunque. E con lui bisogna capire i più amareggiati fra i suoi tifosi, per i quali si tratta di una invereconda disfatta. D’altra parte, quando si è berlusconiani non ci son dubbi sui valori. Di questo è sicuro, fra gli altri, tale Maurizio Paniz, membro della commissione giustizia della Camera. Questa legge non mi piace più, dichiara, «ma alla fine io faccio quello che dice Silvio». Insomma: credere, obbedire, combattere.

Quanto a lui, non smette di lamentarsi. Ora, annuncia, sarà tutto di nuovo come prima. Gli italiani continueranno a non aver «la libertà di parlare al telefono». E il nostro, aggiunge, «non sarà un paese davvero civile». Per intenderci, un Carboni qualsiasi non potrà mettere insieme uno straccio di P 4 o di P 5, senz’essere origliato da un maresciallo (durante i primi 75 giorni, almeno). Per tacere del gossip eversivo di quei trinariciuti mangiabambini dei giornalisti, e dei loro editori.

La cosa più triste, spiega, è che «la battaglia sulle intercettazioni porta fuori il difetto della nostra democrazia». E quale mai è il difetto “portato fuori” dalla battaglia? Che la Repubblica sia «costruita con un’architettura costituzionale non in grado di produrre interventi di ammodernamento e democratizzazione». Lasciamo perdere l’italiano fantasioso e barocco della circonlocuzione, e concentriamoci sul senso: un Berlusconi qualsiasi non ha nemmeno la sacrosanta libertà di fumarsi la democrazia e le sue regole, cribbio. E se ci prova, lo costringono a usare il filtro, ‘sti comunisti.