Entro un quadro molto ambizioso di riforma del mercato del lavoro, che finirà per avere molti più detrattori che sostenitori, il 28 giugno 2012 viene approvata la legge 92. Una legge che non trova facili padri e che occorrerà chiamare legge Fornero. Se sul versante delle politiche del lavoro si tratta di un provvedimento che segue una serie di contestate riforme che corrono più sull’asse della flessibilità e del livellamento verso il basso delle tutele dei lavoratori piuttosto che su quello della sicurezza, esso porta con sé una novità di cui è facile non avere memoria: la legge introduce per la prima volta nel nostro ordinamento un vero e proprio congedo di paternità obbligatorio.

Si tratta di un provvedimento che non era più rinviabile (ci era stato richiesto dalla direttiva 2010/18 che chiedeva ai Paesi membri della Comunità europea di introdurre 10 giorni di congedo di paternità entro il 2022). Va da sé che l’Italia, con il governo Monti, vuole presentarsi all’imminente incontro del Consiglio d’Europa del 28-29 giugno 2012 con i compiti fatti anche negli aspetti relativi a quelle che vengono definite le altre disposizioni riguardanti il mercato del lavoro. La legge 92, all’articolo 4, comma 24, stabilisce, infatti, che «al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo la cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro in via sperimentale per gli anni 2013-2015: a) «il padre lavoratore dipendente, entro cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno». Un giorno di congedo che può essere sommato ad altri due giorni facoltativi, se la madre vi rinuncia. Va peraltro precisato che la legge, allo stesso articolo e comma (24), alla lettera b) introduce (anche e per la prima volta) la possibilità di concedere alla madre lavoratrice (ma non al padre lavoratore!) la possibilità di usufruire di voucher per l’acquisto di servizi di di baby-sitting in alternativa al congedo parentale (facoltativo). La legge 92, dunque, opera una svolta culturale e simbolica sul versante dei padri. Tuttavia, nella sostanza finisce per avvalorare il carattere «accessorio» dei padri nella cura dei figli, riservando a essi, uno e un solo giorno di astensione dal lavoro. Per contro, essa rafforza l’idea, già ampiamente diffusa nel nostro Paese, che è «normale» che siano le donne a occuparsi dei figli piccoli.  Sul versante della parità di genere, la legge fa un passo indietro, perché i padri – che in base alla legge 53/2000 hanno diritto al congedo parentale (facoltativo), in modo individuale e indipendente dalla madre, oltre ad aver diritto al «permesso premio» aggiuntivo di un mese di cui potranno avvalersi se fruiscono del congedo per almeno tre mesi – con questa legge si vedono privati (diversamente dalle madri) della possibilità di richiedere i voucher baby-sitting al posto del congedo. Si cancellano così con un colpo di spugna alcune battaglie sulla parità di genere e sulla responsabilità nella cura. 

La legge 92 opera una svolta culturale e simbolica sul versante dei padri. Tuttavia, nella sostanza finisce per rafforzare l’idea che è "normale" che siano le donne a occuparsi dei figli piccoli

Non meno rilevante è la visione della conciliazione come una «questione femminile», così come emerge da tali disposizioni, nel porre e disporre che un diritto (quello al congedo parentale) sia opposto a un altro diritto/opportunità, il voucher baby-sitting. Si tratta di una visione e di una logica, quella dell’alternativa (diritto al congedo versus bonus baby-sitting), di cui si trovano tracce anche nelle recenti misure emergenziali a sostegno della conciliazione introdotte dal decreto «Cura Italia». Se dunque introdurre il congedo di paternità obbligatorio poteva essere l’occasione per dare visibilità ai padri nel lavoro remunerato e per chiamarli ad avere una partecipazione più attiva e condivisa della cura e del lavoro non remunerato, sembra di poter dire che l’obiettivo non è stato poi raggiunto.

Dal punto di vista delle norme, vediamo che nel 2016 il congedo di paternità è stato prorogato ed esteso a quattro giorni, due dei quali obbligatori, utilizzabili in modo continuativo o disgiunto, fino ad arrivare al 2019 a sette giorni di astensione obbligatoria, retribuita al 100%. Dal 2022 il congedo sarà esteso a 10 giorni, come chiede l’Europa. Dal punto di vista delle pratiche, il risultato non ha avuto finora gli effetti sperati. Le indagini nazionali e internazionali, già prima dell’introduzione della legge 92/2012, segnalavano che per l’Italia, più che per altri Paesi, fosse necessario ridurre lo squilibrio nell’utilizzo dei congedi tra padri e madri.

A cominciare dal congedo parentale (facoltativo), primo vero ambito in cui si gioca la partita della condivisione della cura. I (pochi) dati disponibili rivelano da sempre marcate differenze di genere nell’utilizzo dei congedi. Questi tendono a essere storicamente più utilizzati tra chi lavora nel settore pubblico rispetto a chi lavora nel settore privato (sia da parte delle madri, sia soprattutto da parte dei padri). Inoltre, essi sono più utilizzati tra le lavoratrici dipendenti che tra le lavoratrici parasubordinate, anche perché queste ultime possono fruirne in misura più limitata. D'altra parte, tutte le indagini confermano che l’entità della retribuzione sostitutiva del periodo di congedo influisce in modo determinante sui tassi di utilizzo, in particolare tra i padri.

Un recente rapporto Inps del 31 Ottobre 2021 permette di osservare lungo un arco temporale che va dal 2012 al 2020 la fruizione dei congedi di paternità (la cui durata è passata da 1 giorno agli attuali 7 giorni), quelli di maternità (5 mesi retribuiti all’80%) e dei congedi parentali (facoltativi e remunerati al 30%). Questi ultimi rappresentano di gran lunga l'indicatore più rilevante sul piano del tempo e dell’impegno per quanto riguarda la condivisione del lavoro non remunerato tra madri e padri. Ebbene, il rapporto mostra che la quota di padri che ne hanno usufruito è cresciuta dal 2012 a oggi, ma il rapporto tra madri e padri resta 5 a 1. Perché la legge non ha prodotto grandi cambiamenti sui comportamenti dei padri? Innanzitutto, perché i congedi parentali nel nostro Paese prevedono una decurtazione salariale troppo elevata (-70%). In secondo luogo, perché servirebbe un cambio di passo. Impossibile?

La Spagna è diventata il primo Paese al mondo ad avere un congedo di quattro mesi per entrambi i genitori, completamente pagato e non trasferibile

Nient'affatto. Mentre l’Italia fatica ad introdurre cambiamenti di ampia portata che vadano oltre le minime estensioni della durata del congedo di paternità anno dopo anno, un esempio interessante arriva dalla Spagna. Nel marzo del 2019 il governo spagnolo introduce un decreto «rivoluzionario», a seguito di una lunga e serrata campagna durata 14 anni, si decide che padri e madri devono raggiungere la parità di genere nel diritto a congedi di paternità e maternità. Così la Spagna che fu di Franco, è diventata, dal 2021, il primo Paese al mondo ad avere un congedo di quattro mesi per entrambi i genitori, completamente pagato e non trasferibile. La rivoluzione di genere può passare anche attraverso una legge di perfetta parità di genere nel lavoro e nella cura.

Certamente, il percorso che conduce a una trasformazione della paternità, che segni il cambio di passo da un modello di «mascolinità egemonica» verso una «mascolinità di cura» è ancora lungo in Italia. Tuttavia, è utile ricordare, in corrispondenza dell’anniversario della legge che ha introdotto il congedo di paternità, che prendersi cura fin dai primissimi mesi di vita del bambino da parte del padre non solo permette alle donne di tornare (prima) al lavoro, ma fa bene a padri e bambini, che possono così co-costruire un legame emotivo e relazionale solido che duri nel tempo. Anche quando i figli crescono, anche quando la coppia finisce. Quando in Italia?