Il 1° marzo 2002 segna una data che forse significherà poco per i millennials, ma che è molto importante per il nostro Paese e per l’Europa: la lira ha smesso di circolare, o meglio, ha cessato di avere corso legale lasciando spazio all’euro.

Per comprendere il significato dell’espressione «corso legale» dovremmo andare a leggere il Codice civile: in parole povere, significa che, se vogliamo comprare una pizza o un’automobile, il negoziante potrà rifiutarsi di accettare un pagamento in Bitcoin (salvo che si sia in El Salvador), ma non potrà rifiutare un pagamento nella moneta che ha corso legale. Questo avveniva per la lira in Italia prima del 2002 e, dopo, per l’euro in tutti i Paesi europei che lo utilizzano come moneta: i dodici Stati che hanno aderito nel 2002 e i sette che si sono uniti successivamente.

Si tratta di un passaggio storico dai numerosi risvolti. Prima di vederli, cerchiamo di capire come vi si è giunti. Il passaggio dalla lira all’euro viene da lontano.

L’euro è stato introdotto nel 1999 come unità di conto virtuale ed è stato poi adottato come denaro contante il 1° gennaio 2002, cioè a partire da quella data l’euro è stato utilizzato per concludere operazioni di pagamento. Il tasso di cambio lira-euro fu deciso dal Consiglio europeo (assieme a quello delle monete dei Paesi che per primi hanno adottato la nuova valuta) in base ai tassi di cambio tra le valute al 31 dicembre 1998 in modo tale che il valore di un Ecu (European Currency Unit) – che era una unità di conto (non vera moneta) ed era dato da una media ponderata delle valute europee – fosse pari a un euro. Nel caso dell’Italia, l’euro aveva un valore di 1936,27 lire.

Nei mesi di gennaio e febbraio 2002 l’euro e la lira hanno convissuto. Una situazione di transizione. Era possibile effettuare pagamenti in ambedue le monete, pur con alcune limitazioni: ad esempio, si potevano emettere assegni solo in euro ed effettuando un pagamento in lire si otteneva un resto in euro. Banca d’Italia ha messo in atto un piano monstre con la distribuzione di euro a uffici postali, banche e altri operatori affinché potessero distribuirli al pubblico e ritirare mano a mano le lire in circolazione.

Dopo il 1° marzo 2002 è rimasta la possibilità di cambiare una banconota da diecimila lire in euro per altri dieci anni presso la Banca d’Italia dopodiché le vecchie banconote sono diventate oggetto da collezione. Se scopriamo oggi in soffitta un rotolo di banconote in lire, non abbiamo alcuna possibilità di ottenere euro.

La nascita dell’euro fa seguito al Trattato di Maastricht del 1992 che getta le basi per la creazione dell’Unione economica e monetaria. Tra i vincoli per l’adesione c’era quello che il Paese doveva avere un rapporto debito pubblico/Pil inferiore al 60%, un parametro che non era rispettato da Italia, Grecia e Belgio. Il rapporto per l’Italia aveva mostrato una tendenza al rientro sul finire degli anni Novanta e tanto bastò per entrare nell’euro. Da allora il problema del debito non ha smesso di accompagnarci nei nostri rapporti con l’Europa.

Il 1° marzo 2002 è una data importante da un punto di vista storico, in primo luogo: la lira è stata la valuta ufficiale del Regno d’Italia e poi della Repubblica italiana dal 1861

Ma perché il 1° marzo 2002 è una data importante? È importante da un punto di vista storico in primo luogo. Vale la pena di ricordare che la lira è stata la valuta ufficiale del Regno d’Italia e poi della Repubblica italiana dal 1861 al 2002. Si tratta dunque di un elemento fortemente connesso con la storia del nostro Paese che è passato indenne a cambiamenti istituzionali significativi. Questa considerazione ci fa riflettere sull’importanza del battere moneta che da sempre viene riconosciuta come una prerogativa di uno Stato, tanto da parlare di sovranità monetaria: da secoli il diritto di stampare moneta rappresenta una prerogativa del sovrano e poi dello Stato in quanto permette di controllare il livello dei prezzi, il tasso di cambio e il credito a disposizione dell’economia di un paese. Tre aspetti importanti per il funzionamento di un’economia moderna. Questo ci fa comprendere come la nostra capacità di essere padroni del nostro destino sia diminuita significativamente a partire dal 2002.

È importante per l’idea di Europa sotto più di un profilo. La costruzione di un’Europa unita è un’idea forte che ha animato il dibattito politico in tutti i Paesi a seguito delle macerie della Seconda guerra mondiale. Come spesso è successo storicamente (il riferimento classico è alla Lega Anseatica), in presenza di Stati nazionali o comunque di comunità dotate di una loro organizzazione, l’integrazione passa in primo luogo dalla sfera economica: libera circolazione delle merci, delle persone, dei capitali e poi moneta unica. La speranza è che questo processo in Europa porti a una politica fiscale comune – che si legherebbe a una gestione comune del debito pubblico – e poi a una politica estera e di difesa comune.

La possibilità di utilizzare la stessa moneta per comprare un gelato in Italia o in Germania – unita alla libera circolazione delle persone – ha ampliato gli orizzonti dell’immaginario collettivo abbattendo i confini nazionali

È una data importante anche per l’idea che i cittadini hanno dell’Europa. Si fa riferimento spesso all’esperienza dell’Erasmus che ha permesso a generazioni di giovani studenti di recarsi in un altro Paese, di conoscere un diverso sistema universitario e una diversa cultura. È indubbio che il progetto Erasmus abbia svolto questa funzione, ma anche che l’euro abbia fatto molto di più. La possibilità di utilizzare la stessa moneta per comprare un gelato in Italia o in Germania – unita alla libera circolazione delle persone – ha ampliato gli orizzonti dell’immaginario collettivo abbattendo i confini nazionali: grazie all’euro un italiano può più agevolmente pensare di organizzare la propria vita in un altro Paese come la Germania o l’Irlanda.

Per chi ha una certa età, è vivido il ricordo di dover cambiare le lire con la valuta straniera al momento di partire o di portarsi dietro i traveler’s cheque. Oggi è tutto più semplice e la possibilità di usare la stessa moneta in Paesi diversi ha portato sicuramente a farci sentire l’Europa come una cosa più concreta, ha contribuito significativamente a far sentire le persone cittadini europei. Discorso simile può essere fatto per un produttore di uva da tavola della Puglia che può spaziare su un mercato di circa 340 milioni di abitanti senza sottostare a vincoli particolari.

Tutto questo è venuto con dei vincoli e dei costi. Non è semplice fare un bilancio dell’euro dopo venti anni. Per i motivi che abbiamo illustrato, esso non può limitarsi all’aspetto economico, ci sono considerazioni che vanno oltre.

Rimanendo sull’aspetto economico, è indubbio che qualcosa non abbia funzionato. Abbiamo avuto una convergenza tra i diversi Paesi su alcuni fronti (tassi di interesse, inflazione), ma i Paesi hanno conosciuto saggi di crescita molto diversi tra loro con flussi della bilancia dei pagamenti che segnalano squilibri persistenti. Forze divergenti che si sono materializzate con la crisi dell’euro del 2011 che ha visto contrapposti i cosiddetti Paesi core con un debito pubblico sotto controllo (Germania, Francia, Austria, Olanda, Finlandia) ai paesi periferici con un debito pubblico elevato (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, Belgio, Irlanda, Cipro).

Sicuramente abbiamo imparato che nell’assetto attuale dell’economia europea, non ci sono elementi che permettano un riequilibrio dell’economia reale a seguito di shock asimmetrici (che riguardano il singolo paese) e questo ha portato a squilibri crescenti, livelli di crescita dell’economia e del debito pubblico eterogenei. Capire come procedere è complesso. L’opzione è in fin dei conti tra più Europa, con un passaggio ulteriore in termini di perdita di sovranità (politica fiscale, debito pubblico comune), o meno Europa con un allentamento delle regole europee che potrebbe avere conseguenze imprevedibili.

Quello che è certo è che l’euro è pensato come un progetto irreversibile: ogni paese può sì decidere di uscire dall’euro ma così facendo deve dar fondo all’immaginazione in quanto – in pochi lo sanno – non è prevista una procedura ordinata per uscire dall’euro. Non è semplice staccare la spina e non è neppure auspicabile.