Nella rubrica "lettere internazionali", dedichiamo ampio spazio alle elezioni europee. Analisi e commenti al voto dai ventisette Paesi dell'Unione. Sono online le corrispondenze da Regno Unito, Irlanda, Spagna, Portogallo, Francia, Olanda, Belgio, Germania, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, Romania, Bulgaria, Grecia, Slovenia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Polonia, Lettonia.

Il commento del direttore. Pochi votanti ma non pochissimi: l’affluenza alle urne per eleggere il Parlamento di Strasburgo è stata bassa ma solo di pochi punti percentuali inferiore a quella del 2004. Considerando che l’Europa non è stata al centro della campagna elettorale in quasi nessun Paese, e vista la perdurante ignoranza su che cosa è, che cosa fa, e a che cosa serve il Parlamento di Strasburgo, non c’è da stupirsi se gli elettori non abbiano avuto tanta voglia di andare a votare. Fino a che queste due condizioni «inibenti» non cambieranno, la partecipazione elettorale è destinata a calare. A chi sono andati questi voti?

Molti vincitori e uno sconfitto: tra i primi i partiti moderati-conservatori, i verdi e gli euroscettici con contorno di xenofobi; tra i secondi i socialisti. Nei grandi Paesi , con la sola eccezione della Spagna, la sconfitta dei socialisti assume i contorni di una disfatta storica. Partiti predominanti come i socialdemocratici svedesi, a lungo al governo da soli, si trovano oggi al 25%; i laburisti britannici vincitori a mani basse per tre elezioni di seguito relegati al terzo posto sotto il 20%; la possente, mitica Spd tedesca ridotta al 21%, il peggior risultato della sua storia; i socialisti francesi raggiunti dai verdi. Paradossalmente il Pd, sempre che lo si voglia assimilare a questa famiglia politica, con il suo 26% assume la statura di partito maggiore. Solo spagnoli e greci lo sorpassano, mentre è testa a testa con i portoghesi. Il vento del Nord ha gelato la rosa socialista.
I partiti moderati e conservatori, sia che fossero al governo come la Cdu di Angela Merkel o l’Ump di Nicolas Sarkozy, sia che fossero all’opposizione come in Spagna o in Gran Bretagna, raccolgono il frutto delle incertezze strategiche dei socialisti. Mentre questi ultimi hanno cavalcato con ritardo e con l’entusiasmo dei neofiti le politiche economiche neoliberiste limitandosi nel migliore dei casi ad adattare il Welfare alle esigenze del mercato subendo quindi il rebound della crisi, i partiti conservatori non hanno avuto alcun problema ad adattarsi subito a politiche protezioniste e stataliste fornendo almeno una sensazione  di protezione in linea con la domanda, pressante se non angosciata dai cittadini. Alla stessa domanda, ma ancora più acuta e destabilizzante per l’innesto di immigrazione e criminalità, hanno fornito una risposta a tinte forti i partiti xenofobi ed euroscettici che hanno avuto vita facile nell’accusare un «entità» superiore, opaca e potente come è stata dipinta l’Ue quale causa di tutti i mali.
Unico spiraglio di luce in questo nuova cortina che cala sull’Europa della pace, del progresso e della solidarietà, sono i partiti Verdi. La ragione del loro inatteso successo va forse cercata fuori dal vecchio continente. Il messaggio di un nuovo modello di sviluppo ecosostenibile lanciato dal presidente Barak Obama ha certamente «legittimato» le posizioni sostenuti da decenni dai partiti Verdi. Ora, proprio mentre il Presidente americano le promuove con tutto il suo impegno, diventa difficile irridere le proposte degli ecologisti.
Le elezioni europee coinvolgono una porzione limitata dell’elettorati e molti vedono questa occasione per un voto «spassionato» fuori da logiche di voto utile. E quindi è azzardato predire tendenze forti. Tuttavia nella sinistra qualcosa si sta muovendo (o rompendo?) e siamo forse alla vigilia di mutamenti epocali che non escludono il tramonto del socialismo come l’abbiamo inteso fin qui.

[Piero Ignazi, 9 giugno]