Per anni, dopo l’11 settembre, i burbanzosi alfieri della civiltà occidentale da esportare sulla punta delle baionette hanno insolentito coloro che sollevavano dubbi e sospetti sulle iniziative militari dei neoconservatori. Tutti ricordiamo il disprezzo e il livore con cui gli esagitati alla Giuliano Ferrara e compagnia urlante apostrofavano gli oppositori alla campagna irachena di George W. Bush. Chi non si allineava era un nemico oggettivo della democrazia e dell’Occidente. Che poi quella guerra non fosse autorizzata da alcun organismo internazionale e fosse fondata su menzogne clamorose (dall’esistenza delle armi di distruzione di massa alla complicità del regime di Saddam Hussein con Al Qaeda) non importava. Il clima da guerra santa aveva contagiato anche austeri commentatori e organi di stampa. A rileggere oggi gli articoli dedicati al movimento pacifista e alla sinistra viene da rabbrividire tanta era la violenza riversata sui critici dell’esportazione armata della democrazia. Tra i più “comprensivi” circolava comunque un leit motiv: il centro-sinistra non era affidabile perché la sua politica estera non coincideva con quella dell’amministrazione repubblicana, e quindi era “oggettivamente” anti-americana. 

Ora, gli alfieri dell’interventismo a ogni costo, dell’azzeramento di ogni caveat all’azione dei militari all’estero, dell’esaltazione dei mercenari e del primato dell’Occidente sono diventati improvvisamente afoni. O meglio, esprimono un sentimento anti-americano e anti-occidentale di nuovo conio.

Da un lato, la presidenza Obama “ha rotto l’incantesimo” del grande feeling con gli Usa e finalmente la destra italiana ha ritrovato la sua antica e profonda ostilità all’America dei diritti civili e del New Deal. Dall’altro, le amicizie con dittatori e autocrazie di ogni tipo manifestate dal nostro presidente del Consiglio (l’unico ad aver rotto l’isolamento diplomatico del bielorusso Lukaschenko o ad aver esaltato regimi sultanistici come quello kazakho) e il provincialismo retrogrado della Lega rinchiudono l’Italia in un piccolo recinto autoreferenziale, privo di contatti con il resto delle democrazie occidentali, emarginato nell’Unione europea e negli organismi internazionali.

Non stupisce allora che fronte a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che finalmente sveglia l’Onu dal suo torpore, consentendo alla comunità internazionale di intervenire non dopo ma prima del disastro (benché all’ultimo minuto), il governo appaia incerto e diviso, senza una guida e senza una idea. Al parrocchialismo della Lega che si preoccupa dell’afflusso di immigrati e che rimpiange l’accordo di amicizia con il dittatore di Tripoli, il Pdl e il suo leader non sanno opporre che il “dispiacere” per la sorte dell’amico Gheddafi. Invece di affiancare immediatamente Francia e Gran Bretagna, l’Italia dichiara per bocca del suo presidente del Consiglio di “non aver potuto rifiutare di concedere le proprie basi” (sic) e assicura che i propri caccia non spareranno un colpo. Forti di questa posizione, oltre che del pregresso baciamano e del “non possiamo disturbare il Colonnello”, adesso l’Italia pretende di dettare le condizioni dello svolgimento dell’operazione.

Non hanno capito, a Palazzo Chigi, che la leadership di questa operazione è tutta francese ed è soprattutto per questo che i Paesi arabi e la Lega Araba la sostiene (pur con mille distinguo). L’affidare alla Nato il comando dell’intervento, nonostante abbia una sua razionalità sul piano dell’efficienza, rischia di riproporre troppo da vicino lo schema irakeno. Se nelle opinioni pubbliche arabe si riaffacciasse l’immagine della guerra del 2003, la sintonia dimostrata fin qui dai popoli in rivolta con l’Occidente si incrinerebbe. Il mondo arabo non ha dimenticato che fu la Francia a opporsi a Bush. E ora i francesi ne raccolgono i frutti. Il nostro governo, invece, grazie alle sue nostalgie per il Colonnello e al suo scarso entusiasmo per i rivoltosi, sta facendo di tutto per inimicarsi i futuri governanti della Libia. È il momento di sapere se il centro-destra sta con l’Occidente e i nemici di Gheddafi oppure continua a sostenere il Colonnello, mantenendo in vita il “Trattato di amicizia (!) e cooperazione” siglato con tanta enfasi due anni fa.