La riforma fiscale è uno dei cinque punti su cui il presidente del Consiglio ha recentemente chiesto la fiducia in Parlamento ed è tra le priorità indicate nel confronto sulla crescita avviato fra le parti sociali la scorsa settimana. C’è da augurarsi che sia la volta buona, perché di tanto in tanto, come un fiume carsico, il tema del fisco riappare nell’agenda politica, con tanto di  annunci e promesse di un’ampia consultazione nel Paese, salvo poi scomparire subito dopo.
Nella pratica, fino ad ora da parte del governo non sono venute proposte. Quelle poche che man mano sono emerse sono deludenti: a partire dalla cedolare sugli affitti, che premia i proprietari di immobili, o dalla detassazione di alcune componenti del salario, tra cui i premi di risultato e il lavoro notturno, che rischia di segmentare i lavoratori ed erode ulteriormente la base imponibile dell’Irpef, più che stimolare la crescita della produttività. Oltre a interventi sporadici e discutibili di questo tipo, altri si presentano di difficile o impossibile attuazione, ad esempio la riduzione dell’Irap, con onere a carico delle Regioni (a cui intanto si tagliano i fondi), o il tentativo di attrarre le multinazionali a investire nel nostro Paese consentendo loro di adottare il sistema tributario che preferiscono (tra quelli vigenti in uno dei 27 Paesi dell'Unione europea).Ma data la situazione economica occorrono proposte di riforma organiche e articolate. Eppure i temi da dibattere e le idee non mancano, come mostra anche un documento recentemente redatto da un gruppo di studiosi ed esperti che si sono riuniti presso la sede del Nens (Nuova economia e società).

Il contenimento del disavanzo e la riduzione del debito costituiscono un vincolo, che rende realisticamente difficile nel breve periodo ridurre la pressione fiscale. Ciò non deve però costituire un abili per l’immobilismo. Se per il momento non si può certamente mettere in pratica  il «meno tasse per tutti», occorre però redistribuire l’onere fiscale, ponendolo soprattutto a carico di chi fino ad ora non ha pagato e continua a non pagare, perché può più facilmente sottrarre i propri redditi o i propri consumi al fisco. In un Paese con un evasione stimata pari a circa 120 miliardi di euro, l’8% del Pil, di margine ce n’è per ridurre le tasse sui contribuenti onesti! La priorità, quindi, è il recupero delle imposte evase, una questione oggi prima di tutto essenzialmente politica e non di strumentazione tecnica. Gli incrementi di gettito che ne derivano non andrebbero poi finalizzati al finanziamento di spese pubbliche, ma alla riduzione del prelievo sui contribuenti onesti.
Chi andrebbe privilegiato? Per una crescita equilibrata e per sostenere le situazioni di maggiore disagio indotte dalla crisi, le priorità sono le attività produttive e le famiglie più numerose e a più basso reddito. Per queste ultime la proposta sollevata nel documento sopra citato ha come punto fondamentale l’integrazione fra imposte e assegni familiari, resi universali, in modo da consentire a tutti i lavoratori e anche a chi ha redditi molto bassi di poter beneficiare del sostegno pubblico. Una soluzione come questa o all’opposto l’introduzione del cosiddetto «quoziente familiare», ben più costoso e iniquo (e per di più inefficiente con riguardo all’offerta di lavoro femminile), è un primo punto  su cui il governo dovrebbe scoprire le sue carte.
Per quanto riguarda le imprese e le attività produttive, il tema essenziale è se e come il fisco può contribuire a rafforzare la struttura del nostro apparato produttivo. Anche su questo versante, le proposte del documento avanzano suggerimenti utili al dibattito, soprattutto per l’incentivo previsto per le imprese che reinvestono gli utili o che comunque rafforzano la loro struttura patrimoniale e per la tendenziale neutralità che viene assicurata rispetto alle scelte con cui organizzare la propria attività produttiva. A questo punto ci si aspetta un dibattito, o qualcosa che gli somigli. Il tema lo metiretebbe.