«È da irresponsabili dire sì a questa candidatura». Le parole con cui la sindaca di Roma Virginia Raggi ha messo fine alla corsa olimpica di Roma 2024 non erano certo inaspettate, dato che il «no» ai Giochi era stato preannunciato in campagna elettorale e aveva contribuito a portare i pentastellati in Campidoglio. Sorprendono semmai il ritardo – giustificato in maniera bizzarra dalla necessità di rispettare una fantomatica «tregua olimpica» che nulla ha a che vedere con i processi di candidatura – e le modalità con cui si è voluto interrompere un percorso al quale le precedenti giunte avevano dato il proprio sostegno.

Se le reciproche accuse fra Raggi e Malagò nelle conferenze stampe parallele fanno parte della cronaca giornalistica, dal punto di vista politico questa scelta sembra essere un’occasione persa per il partito pentastellato. Cavalcando quel legittimo sentimento anti-olimpico cresciuto sull’onda lunga di scandali e sprechi da Italia ’90 al Mondiale di nuoto di Roma 2009, con il «no» alle «Olimpiadi del mattone» la Raggi ha contribuito a ricompattare le divisioni interne, ma ha implicitamente finito per ammettere l’incapacità della sua giunta ad affrontare questa sfida. Sostenendo la candidatura di Roma 2024, il partito di Grillo avrebbe invece potuto imporre modifiche al progetto e vigilare sulla gestione di fondi e appalti, dimostrando così di essere maturo per governare.

In ogni caso le Olimpiadi erano ormai diventate l’oggetto di una battaglia ideologica in cui le contrapposte fazioni si combattevano a colpi di slogan, entrando però raramente nel merito del progetto. Se per Malagò i Giochi rappresentavano la naturale ambizione di un presidente del Coni che vuole passare alla storia, per Renzi la candidatura olimpica era stata accolta con favore acritico perché rafforzava la narrazione di un’Italia in uscita dalla crisi e soprattutto faceva parte di quella strategia politica in cui – accantonate le grandi opere di berlusconiana memoria – i grandi eventi sono visti dal governo come uno strumento per rilanciare l’economia, attrarre investimenti internazionali e promuovere un’immagine nuova del Paese.

Lungi dall’essere il frutto di una riflessione concertata fra i tre principali attori coinvolti (Coni, governo e municipalità), il rifiuto della candidatura romana è stata una forzatura apparsa per certi versi strumentale e disinformata. È significativo che nella conferenza stampa non sia mai stata citata l’Agenda 2020, voluta dal presidente del Cio Bach, che ha rivoluzionato l’idea di città olimpica concedendo maggiore libertà ai comitati organizzatori. Quello romano, peraltro, ha più volte denunciato l’assenza di un dialogo con la nuova giunta nonostante la disponibilità a effettuare modifiche.

Anche per questo motivo i vertici del Coni hanno reagito duramente. Dopo le ultime mosse disperate – in cui si era data la disponibilità a tenere un referendum ed era stato provocatoriamente proposto di trasmettere l’incontro fra la Raggi e Malagò in streaming – è sceso il gelo. «Ora andiamo avanti, fino all'atto formale: Comune e giunta si assumeranno la responsabilità della delibera che dà discontinuità alle precedenti decisioni» ha dichiarato il presidente del Coni, che comunque non è esente da colpe.

Il principale errore del Coni è stato quello di essersi concentrati sulla ricerca dei voti in seno al Cio, non preoccupandosi di conquistare il sostegno dell’opinione pubblica romana. In questo senso la scelta di Luca Cordero di Montezemolo – fondamentale per l’operazione di lobbying olimpica – ha finito per indebolire ulteriormente il consenso interno. Ritrovarlo alla guida della candidatura romana, a 25 anni di distanza dal Mondiale del 1990, ha finito per rafforzare la narrazione di coloro che sostenevano che a guadagnarci dai Giochi sarebbe stata la «solita cricca» di imprenditori e costruttori a discapito dei «cittadini onesti».

Dopo la scelta di Monti di non firmare le garanzie per il 2020, la candidatura per il 2024 era sembrata ai più una forzatura. Roma, pur avendo un’impiantistica sportiva di tutto rispetto – grazie soprattutto all’eredità dei Giochi del 1960 – non sembrava una città adeguata ad una simile impresa. Dai trasporti, al traffico, agli scandali e ai debiti sono davvero tante le criticità che la capitale avrebbe dovuto affrontare. Se tutti gli attori avessero lavorato in sinergia, le Olimpiadi avrebbero potuto rappresentare un volano per risolvere alcuni di questi problemi, ma se mal gestite avrebbero finito per trasformarsi in una zavorra capace di affossare ulteriormente la città.

La Raggi, che non ha voluto correre rischi, ha giustificato la fine del sostegno alla candidatura con motivazioni strettamente economiche, dimenticandosi però che anche la rinuncia ha dei costi. Al di là di eventuali danni erariali, il fatto che la vittoria di un partito di opposizione abbia fatto saltare un impegno preso formalmente davanti al Cio contribuisce a rafforzare la già radicata immagine di un’Italia partner inaffidabile a livello internazionale e ciò rischia di avere conseguenze non solo a livello sportivo, ma anche per tutte quelle industrie e quegli individui che lavorano all’estero. Visto lo stato d’avanzamento della candidatura, una soluzione sarebbe potuta essere quella di portare avanti con un basso profilo la candidatura per andare incontro fra un anno, in occasione della sessione del Cio a Lima, ad un’onorevole sconfitta.