Rammento con lucidità il giorno in cui, alcuni anni orsono, Salvatore Iaconesi pubblicò su un sito web una lastra del suo cervello colpito da un tumore e diffuse un video, su YouTube, nel quale annunciava al mondo di avere il cancro.

C’eravamo incontrati spesso, negli ultimi dieci anni, a diverse conferenze e incontri hacker. Conoscevo bene la sua attenzione per la tecnologia, le sue competenze informatiche e la sua passione per la programmazione e per il codice, nonché le sue battaglie per l’apertura delle informazioni e del confronto scientifico e per l’estremizzazione della performance artistica.

Il pensiero andò subito non solo a lui ma anche a Oriana, la sua ragazza che spesso lo accompagnava, anche lei raffinata studiosa di comunicazione e appassionata di tematiche da sempre care alla comunità hacker e artistica nazionale e internazionale.

Oggi, nel libro La Cura (Codice Edizioni, 2016), Salvatore Iaconesi e Oriana Persico narrano di questa vicenda (ma non solo) in oltre 300 pagine di testo fitto e molto curato, aggiungendo innumerevoli particolari e «retroscena» a un fatto che molti di noi hanno seguito da lontano e ai margini, come amici, spesso frenati, nel domandare notizie o aggiornamenti, da quel pudore tipico che si manifesta quando si ha a che fare con persone care colpite dal cancro.

La Cura è un testo molto profondo, sia nella lettura sia nel necessario processo di comprensione ma, al contempo, assume spesso la forma di affascinante diario che non può che appassionare, commuovere o suggestionare anche il lettore non avvezzo a temi informatici.

Si tratta di un’opera scritta volontariamente «a strati» e a moduli, un universo di satelliti che possono essere affrontati in sequenza o letti senza un ordine, a caso, a seconda dell’interesse di chi legge. Nelle pagine si trova una grande storia d’amore ma anche un atto di omaggio al mondo dell’hacking e dell’apertura delle informazioni e del codice, una critica feroce ad alcune prassi (e istituzioni) mediche ma anche righe sincere di ringraziamento a medici e personale che hanno reso il malato più umano.

Salvatore e Oriana sono, per chi li conosce bene, menti molto articolate. Affrontano ogni problema, ogni questione, ogni punto sezionandolo e analizzandolo in ogni sua faccia, rendendolo pubblico e porgendolo alla discussione, spingendolo sempre al limite, tra tecnologia e performance artistica, sino a «esaurirlo» e a offrirlo all’interlocutore o al lettore in mille pezzi ma tutti interessanti e connessi tra loro. Lo stesso avviene in queste pagine, dove anche i passaggi più lineari sono resi interessanti dall’approfondimento e dal confronto.

Data la competenza degli autori, il titolo non deve ingannare: «la cura» non si riferisce a un libro che sveli una fantomatica cura per il cancro, o che voglia promuovere terapie, o che lasci spazio a teorie mediche alternative. Gli autori sanno benissimo, avendolo provato sulla loro pelle, quanto sia delicato il tema, e lo trattano sempre «in punta di piedi», con una pacatezza, una cautela nella scelta dei termini e una libertà assoluta nell’approccio che sono veramente degni di nota. Al contempo, però, prendono spunto dalla malattia in senso stretto per esporre i mali della società e per illustrare strategie (anche informatiche) per combatterli.

I temi affrontati sono decine, visti da diversi punti di vista (quello in prima persona di Salvatore, quello della sua amata Oriana, quelli contenuti in documenti scientifici, incontri e informazioni condivise o reperite in Internet), e non li voglio anticipare qui.

Ho, però, apprezzato alcuni aspetti che rendono La Cura non un «semplice» diario di una malattia, ma una piccola opera d’arte (o, meglio, una piccola performance artistica) con ambizioni molto più ampie.

La prima sensazione è che questo contrasto, in tutte le pagine, tra «apertura» e «chiusura», tra open e close, tra codice aperto e codice chiuso, tra segreto e pubblico, tra questioni discusse nelle stanze private o regalate, al contrario, al pubblico confronto, sia il cuore del libro.

Il cancro è tema, e malattia, che porta quasi naturalmente alla chiusura, alla non condivisione, anche e soprattutto nei rapporti umani. L’approccio di Salvatore e Oriana nel combattere la malattia puntando, invece, sull’apertura (apertura che parte, si pensi, dai formati dei dati attraverso i quali diffondere le informazioni mediche di Salvatore per permettere una sorta di «scrutinio globale e mondiale» di una cartella clinica) è indice chiaro di un approccio hacker che anche nella malattia, e non solo nella cultura o nel lavoro, può raggiungere grandi risultati.

La malattia diventa «condivisa» e pronta per essere sconfitta grazie anche alla raccolta incessante d’informazioni e a una selezione accurata delle stesse. Ma questa apertura, secondo Iaconesi e Persico, per essere efficace deve riguardare ogni aspetto della nostra società: le relazioni di ogni giorno, la burocrazia, le istituzioni, la quotidianità, i centri di potere, la salute e il suo «mercato», il benessere, l’amore, la solidarietà, la politica e l’ambiente. Una tecnologia che permetta non solo di comprendere meglio la società in cui viviamo, ma anche di vivere meglio tutti insieme.

Il secondo punto interessante, nel libro, riguarda il mondo della medicina e delle cure «visto dall’interno» da due soggetti da sempre attenti ai meccanismi sociali e che si trovano loro malgrado, improvvisamente, a doversi relazione e convivere con un «mondo» cui non solo non erano abituati, ma che non conoscevano affatto.

Qui esce l’idea di hacking o, meglio, di «cavallo di Troia». Il cercare dall’interno (della malattia, o dell’ospedale, o di un ufficio) i punti deboli e gli aspetti del sistema che si possono migliorare e, attraverso la condivisione delle informazioni, il tentare di migliorare il sistema, di correggere le imperfezioni, anche scrivendo nuovo codice informatico. Tra le tante «imperfezioni» che Salvatore e Oriana evidenziano, mi sembra che la disumanizzazione del paziente, il renderlo spesso un numero o un codice oggetto di un protocollo, e i rapporti «burocratizzati» dei familiari con i medici, siano gli aspetti più critici.

Il percorso verso «la cura» inizia quando Salvatore domanda la sua cartella clinica digitale, con tutti i dati degli esami preliminari. La richiesta della cartella clinica digitale è già pensata per poi renderla pubblica, per darla in pasto all’intelligenza collettiva della rete e per avviare un confronto. Nella convinzione, sempre, che la malattia non colpisca soltanto il malato ma anche tutti coloro che lo circondano e quindi, in definitiva, tutta la società.

Le parti di approfondimento che ho più apprezzato, forse perché un po’ distanti dalle mie competenze, sono quelle relative all’evoluzione della medicina e al suo rapporto con la tecnologia che arrivano a prospettare veri e propri nuovi approcci al «processo medico» e alle enormi quantità di dati che rilasciamo durante la nostra vita anche con riferimento alla nostra salute, e che possono essere utilizzate per il nostro benessere. Molto spazio è poi dedicato, opportunamente, all’idea di open data e al suo rapporto con la medicina moderna.

I vari «strati» informativi del libro s’intersecano alla perfezione, consentendo anche approfondimenti mirati su alcuni argomenti tecnici o sociologici più ostici.

La malattia, in tal senso, diventa lo spunto per mettere in discussione tanti aspetti della società tecnologica attuale che, tramite l’apertura delle informazioni e l’hacking, può essere costantemente migliorata. Sempre, ricordano i due autori, con il necessario apporto di tutti i cittadini.