Ma quanta narrazione rivoluzionaria c’è nel Movimento 5 Stelle, che si proclama forza di rottura «senza se e senza ma»?

Le formazioni politiche statu nascenti si avvalgono spessodella retorica del sovvertimento e della discontinuità e in taluni casi, come in quello pentastellato, utilizzano a piene mani una narrativa che rivendica la propria carica addirittura quasi palingenetica e catartica. Giustappunto «rivoluzionaria»; tanto più indispensabile in quanto il movimento che rigetta per sé perfino la denominazione (e la tassonomia) di partito si ostina (per un mix di motivazioni organizzative e propagandistiche) a rifiutare – almeno formalmente – qualsivoglia dinamica possa condurlo a forme di istituzionalizzazione.

La dolorosa dipartita di Gianroberto Casaleggio (al medesimo tempo, ideologo, co-fondatore e guru) pare avere sprofondato in una condizione di catalessi e paralisi, sotto il profilo evolutivo, il Movimento, nel quale il «grillismo» rappresenta, ancor più, una componente decisiva ed essenziale. I pentastellati, infatti, non riescono e non vogliono emanciparsi dalla condizione di «stato nascente» collegata all’esercizio del carisma da parte di una figura fondativa, e, appunto, si sottraggono all’istituzionalizzazione che caratterizza la logica di azione di ogni partito politico. Per stare alla larga da quello che considerano un processo portatore di meccanismi degenerativi – specialmente per la loro dimensione simbolica «antisistemica», che si traduce di fatto in una (sempre meno immacolata) aura anticasta – si posizionano così su un segmento di offerta politica che si ammanta di una reclamata «carica rivoluzionaria»: più a parole che nei fatti; più in termini di immaginario che di prassi concrete. Sotto la coltre dell’aria postideologica che ammanta il M5S (e che è funzionale alla sua vocazione di catch all party), l’armamentario, il repertorio e il pantheon a cui ricorrono i suoi dirigenti è, naturalmente, quello della Rivoluzione francese del 1789 – e, in particolare, il suo filone giacobino (e quello sanculotto), con l’invocazione dell’intransigenza e dell’incorruttibilità quali tratti distintivi e marchi di fabbrica. La «questione morale» – tema non nuovo, ma sempre malauguratamente di attualità nella politica nostrana – identifica il brand più vendibile e appetibile dell’universo pentastellato; e, difatti, Casaleggio si è sempre presentato, da numerosi punti di vista, alla stregua di una sorta di «Cyberobespierre», un «incorruttibile» in salsa internettiana.

Dal robespierrismo si passa così, in un battibaleno, a Jean-Jacques Rousseau, che dell’avvocato di Arras e del giacobinismo fu, in termini ideali, il principale ispiratore. Ovvero, il teorico per antonomasia di quella democrazia diretta che del Movimento costituisce giustappunto una delle issues fondamentali – al netto, tuttavia, di come il pensatore ginevrino fosse il primo a operare una serie di distinguo e specificazioni in materia di direttismo democratico. A suo giudizio, infatti, questa forma di democrazia senza mediazioni si sposava al meglio con dimensioni territoriali e organizzative ridotte (la «dottrina dello Stato piccolo») e, in definitiva, l’autogoverno consapevole risultava più consono «agli dei che agli uomini».

Ma il «russovismo 2.0» in versione pentastellata non ama le sottigliezze teoretiche e le disquisizioni dottrinarie: il popolo grillino del web incarna la smaterializzazione digitale della volontà generale in cui risiede la sovranità, e da cui deriva quindi (nominalmente) la legittimità potenziale di ogni azione politica del M5S. Nell’impostazione di base, dunque, siamo in presenza di una sorta di monismo similare a quello della Rivoluzione transalpina di fine Settecento (ma totalmente decurtato delle radici illuministiche, spodestate da connotazioni e tonalità assimilabili, piuttosto, alla new age). Analogamente al monismo giurisdizionale rivoluzionario, la (postmodernissima) ideologia pentastellata, che non ama molto il pluralismo (detto in termini eufemistici…), respinge e non riconosce un ruolo sociale ai corpi intermedi – dai sindacati ai partiti, diffidando pure di molte espressioni dell’associazionismo – e perora la reintroduzione del vincolo di mandato per i parlamentari (ribattezzati, non per nulla, «portavoce») e l’abolizione del voto segreto alle Camere. «Rousseau», non a caso, è il nome con il quale è stata chiamata la piattaforma web («cervellone informatico» e sistema rigorosamente chiuso) destinata a governare di fatto tutte le attività del Movimento, e non soltanto le consultazioni online.

«Si nasce rivoluzionari, e si muore pompieri», recita un noto adagio popolare. Sempre che, nel frattempo, si siano varcate le colonne d’Ercole dell’istituzionalizzazione. E ammesso (e non concesso) che la rivoluzione non la si voglia fare esclusivamente a colpi di slogan.