Nella settimana che è trascorsa da quando si è tenuta la seduta congiunta del Parlamento francese a Versailles abbiamo assistito a una drammatica sequenza di accadimenti che ha confermato una  sensazione diffusa: gli attacchi avvenuti a Parigi potrebbero segnare una svolta nella politica di sicurezza non solo della Francia, ma anche di diversi altri Paesi. Nel suo discorso davanti ai parlamentari il presidente Hollande ha annunciato le linee generali di una serie di interventi, alcuni dei quali, come l’estensione dello stato di emergenza, sono già stati attuati, e altri lo saranno nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. La risposta della Francia si muove essenzialmente in due direzioni. Dal punto di vista interno, si annuncia un ampliamento dei poteri dell’esecutivo in circostanze in cui ci siano pericoli rilevanti per la sicurezza del Paese. Dal punto di vista esterno, c’è un aumento significativo dell’impegno militare francese nell’azione di contrasto delle forze dell’Isis in Siria, con un’intensificazione dei bombardamenti che dovrebbero diventare ancora più incisivi in seguito all’arrivo, nei prossimi giorni, della portaerei Charles De Gaulle a largo delle coste siriane. Tutto ciò nel contesto di una frenetica attività diplomatica volta a mettere insieme un’ampia coalizione militare, che comprenda i paesi dell’Unione europea e si estenda fino agli Stati Uniti e alla Russia, per annientare la minaccia costituita dall’Isis. Gli eventi di queste ultime ore a Bruxelles, e quelli dei giorni scorsi in Mali, fanno ritenere che questo orientamento di fondo della politica francese non è destinato a cambiare. La Francia, ha detto Hollande, è in guerra.

Ecco perché gli attacchi di Parigi potrebbero rappresentare uno spartiacque per la coscienza europea. Segnando un’inversione di tendenza rispetto al processo di edificazione, sul continente europeo, di quello che lo storico statunitense James Sheehan ha chiamato “the civilian state”. Una forma di governo che progressivamente rimuove la guerra dall’orizzonte delle possibilità politiche. Un segnale di questo mutamento si avvertiva, a mio avviso, sin dalle prime ore dell’attacco a Parigi. Da quando gli spettatori dello Stade de France, per farsi coraggio in una situazione di drammatica incertezza, hanno intonato l’inno nazionale della Repubblica che, vale la pena ricordarlo, vede la luce come Chant de guerre pour l’Armée du Rhin e le cui parole concedono ben poco al pacifismo di maniera che per decenni ha costituito l’ideologia ufficiale francese e della stessa Unione. La formula “atto di guerra” impiegata sin dalla prima dichiarazione ufficiale da parte di François Hollande, un uomo che non si segnala per la propria impulsività, ha dato espressione a questo sentimento. Basta ripercorrere le notizie degli ultimi giorni per rendersi conto che il cambiamento cui alludo potrebbe avere conseguenze profonde. In una prospettiva di guerra cambiano gli orientamenti di fondo nei confronti degli interlocutori che, sullo scenario internazionale, si presentano come alleati credibili.

Da qui il repentino mutamento dell’atteggiamento nei confronti di Putin (uno che negli ultimi anni si è fatto un vanto del proprio realismo politico) e, verosimilmente, anche di Assad. Quest’ultimo divenuto a questo punto, se non un alleato, almeno un cobelligerante. Così come si avvia a mutare il tono delle relazioni con l’Iran. Ciascuno di questi mutamenti avrà probabilmente ricadute, si pensi alla situazione dell’Ucraina, che è difficile prevedere, ma che potrebbero rivelarsi significative per le aree geografiche direttamente coinvolte. Anche sul piano dell’Unione europea ci saranno cambiamenti. Per ora le istituzioni hanno accettato senza discutere l’annuncio da parte della Francia (cui si è subito accodata l’Italia) che le spese sostenute per la sicurezza andranno escluse dai vincoli previsti dal patto di stabilità. Una considerazione che potrebbe, tuttavia, essere messa in discussione se, prima o poi, si aprisse un contenzioso sulla giustificazione legale delle iniziative militari intraprese in queste ore dalla Francia, cui gli altri Paesi dell’Unione non sembrano, almeno per il momento, intenzionati a partecipare. Infine, ci sono le conseguenze sul piano interno. Un nuovo equilibrio tra sicurezza e libertà, infatti, richiederà certamente dei trade off che non saranno indolori.