Il genius loci di Weimar – e forse della migliore Germania – è Goethe, che, pur essendo nato nel 1749 a Francoforte sul Meno, in Occidente, a ventisei anni si trasferì a Oriente, nell’allora Ducato di Sassonia-Weimar, invitato da un intelligente quanto irruente principe, il duca Carl August, che in breve sarebbe divenuto l’illuminato monarca di un piccolo Stato che grazie a lui e a sua madre, la duchessa Anna-Amalia, divenne il centro spirituale, intellettuale, artistico della Germania e d’Europa. Weimar contava allora circa 6.000 abitanti (oggi non arriva a 65.000); era impensabile che Goethe, che con il Werther era diventato l’autore più noto d’Europa, si fermasse più di qualche mese in quella minuscola capitale. E invece ci rimase fino alla morte, nel 1832. D’estate andava in vacanza in Boemia, alle famose terme di Karlsbad e di Marienbad, spesso con il duca, con la nobile Charlotte von Stein, cui si era legato da un profondo legame sentimentale (lei era sposata con sette figli), e con Herder, che era riuscito a far chiamare a Weimar. Con una sorprendente eccezione: soggiornò quasi due anni in Italia, soprattutto a Roma, il grande amore della vita, dove, comunque, si guardò bene dal restare. Come pure non accettò l’invito di trasferirsi a Parigi che gli rivolse Napoleone, imperatore dei francesi e padrone d’Europa. Perché rifiutare? Proprio lui che era un leale ammiratore dell’Empereur, simpatia che gli procurò l’avversione della gioventù tedesca, che l’occupazione francese aveva risvegliato a un insano nazionalismo. E così Goethe rimase per tutta la vita in una cittadina che in virtù della sua presenza divenne un santuario culturale e artistico dell’Europa.

E la forza d’attrazione di questo “santuario” continuò. A Weimar si trasferì negli anni successivi Liszt; a Weimar morì, ancorché ormai obnubilato, Friedrich Nietzsche, di cui la città custodisce l’archivio, insieme a quelli, preziosissimi per la cultura mondiale, di Goethe, di Schiller e di Herder. E a Weimar agì anche il giovane Richard Strauss, proponendo le sue sinfonie giovanili più innovative. Nello stesso periodo all’Archivio Goethe lavorò Rudolf Steiner che, meditando sulle opere scientifiche di Goethe, fondò l’antroposofia e il suo straordinario centro spirituale, il Goetheanum, in Svizzera.

Ma la storia di questo luogo eccezionale continua: a Weimar Walter Gropius fondò il Bauhaus nel 1919 e nello stesso anno qui si raccolse il primo Parlamento tedesco per emanare la celebre Costituzione di Weimar (da cui la “Repubblica di Weimar”), così liberale e permissiva da non prevedere robusti argini contro il nazionalsocialismo, che scelse la città come uno dei suoi emblemi, nazificando il volto architettonico della città, altrimenti gioiosamente settecentesco e Biedermeier. Il terrore hitleriano è presente con il lager di Buchenwald, nei dintorni della città. Questa storia ora è raccontata da Annette Seemann in un godibile libro, Weimar (edizioni Beck), che varrebbe la pena tradurre.

Ma la città oggi può fornirci ancora molte lezioni: la sua storia recente comincia a metà Settecento. Vi sono musei e archivi e, da non trascurare, il più bel parco d’Europa, sul fiume Ilm. La Biblioteca Nazionale di Roma ha chiuso per il caldo. Quella universitaria di Roma Tre chiude per risparmiare energia. Quella di Weimar, aperta fino alle 21 (e anche qui fa caldo), è un gioiello (dedicato alla fondatrice Anna-Amalia) di organizzazione e di gentilezza, con fondi librari notevolissimi, molti di recente acquisizione (quando non c’è “mafia capitale”!) a cura della Fondazione Klassik Stiftung, mentre a Lipsia, a Marburg, a Friburgo le biblioteche non chiudono mai (a Berlino e a Monaco alle 24)! In questi giorni la maggioranza dei frequentatori sono italiani, e si capisce perché.

Weimar ha investito in cultura e ne ha ricevuto un riscontro immenso, sia finanziario sia come immagine di civiltà. Per dirla con Benedetto Croce: “Questa è la Germania che amiamo”. (Mi chiedo se Goethe trascorrerebbe ancora quasi due anni nella Città Eterna, a via del Corso 18, dove un bel museo lo ricorda: un museo tedesco!)