Si sta concludendo in questi giorni la raccolta dati per la quinta edizione del Global Media Monitoring Project (Gmmp). Una rete di ricercatrici e ricercatori di più di cento Paesi ha monitorato la presenza delle donne nelle notizie riportate nei media principali, dai giornali televisivi e radiofonici, ai quotidiani, ai siti internet di news, a Twitter.

Guardare ai rapporti delle passate edizioni dà parecchio da pensare. Se in generale nel mondo, fra i professionisti della notizia, la presenza di donne è alta (circa il 40%) e per alcuni media è in crescita, cosa diversa è per la presenza delle donne nelle notizie. Ancora nel 2010, a livello mondiale, solo il 24% delle persone menzionate nelle notizie erano donne. Quando le donne intervenivano nelle notizie in qualità di soggetti principali avevano una probabilità doppia rispetto agli uomini di essere ritratte come vittime. Inoltre, le donne intervenivano come "parere esperto", cioè in posizione di autorità, solo nel 20% dei casi, mentre come latrici dell'"opinione popolare" nel 44% dei casi. E in Italia? Nei dati dell'ultimo monitoraggio le donne costituivano il 19% delle persone citate nelle notizie, cinque punti sotto la pur bassa percentuale mondiale. Le donne comparivano come vittime tre volte più spesso degli uomini. Erano intervistate come esperte solo nel 14% dei casi, mentre intervenivano come latrici dell'"opinione popolare" nel 57% dei casi. Insomma, i soliti record negativi a cui il nostro paese è abituato quando si tratta di questioni di genere.

Perché questo progetto mondiale di monitoraggio sui media è importante? E che cosa ci dicono questi dati? Sicuramente ci dicono che gli occhi con cui i media guardano al mondo sono viziati da pregiudizi e stereotipi che continuano a farci dimenticare delle donne, a relegarle in posizioni marginali e a non considerarle come egualmente degne di attenzione. Che intervengano distorsioni di questo tipo risulta evidente dal fatto che le percentuali come quelle appena riportate variano, in maniera anche significativa, a seconda che il reporter sia uomo o donna. La correzione di queste distorsioni sistematiche è uno dei principali obiettivi che si prefigge il Gmmp, e ha già dato vita, in alcuni Paesi, a codici etici e a reti di professionisti della notizia impegnati a una migliore rappresentazione dei generi.

Tuttavia, a volerli guardare con occhio disincantato, questi dati forse ci dicono anche un'altra cosa, in un certo senso più grave. I fatti rilevanti nel mondo - le decisioni dei politici, i movimenti di capitale, le guerre, i negoziati internazionali, le grandi mobilitazioni di massa - vedono gli uomini protagonisti in misura molto maggiore rispetto alle donne. In altre parole, i rapporti del Gmmp ci danno una fotografia spietata e nitida dell'enorme sperequazione nel potere effettivo e nella capacità di agire che ancora esiste fra donne e uomini a livello mondiale. È un'immagine più chiara e più brutale di quella che ci possono fornire i dati sull'occupazione femminile, o sulla presenza delle donne nelle assemblee legislative nazionali, o nei tribunali, o nei consigli di amministrazione. Perché non basta occupare uno di quei posti per decidere ciò che fa notizia; le cariche formali non sono garanzia di potere reale. E il fatto che meno di una persona su quattro sia donna nell'enorme flusso di notizie che attraversa il pianeta ogni giorno ci ricorda e ci dice proprio questo.

Se letti sotto questa luce, i dati del Gmmp non ci danno facili indicazioni di policy. Spostare il potere e l'effettiva capacità di agire può comportare in molti casi vere e proprie rivoluzioni, e non è detto che le azioni più ovvie che possono essere intraprese in questo senso diano i risultati sperati, come i dibattiti sulle quote nelle istituzioni continuano a mettere in evidenza. Tuttavia, l'importanza della raccolta e diffusione di questi dati risulta ancora più fondamentale. Il male più immediato e subdolo che comporta questa sperequazione di genere nella presenza nelle notizie, infatti, è la normalizzazione della nostra percezione di un mondo cosiffatto, in cui esiste una tale divisione fra chi fa la storia e chi la subisce, o, per dirla più schiettamente con Aristotele, fra chi "comanda" e chi "è comandato".