Compito di un ministro delle Finanze nella Germania di oggi è spendere meno soldi pubblici possibile e non aumentare il carico della spesa dello Stato. Wolfgang Schäuble gode di unanime prestigio nel suo Paese perché è in sintonia con i suoi connazionali: i debiti hanno qualcosa di losco, suscitano inquietudine, sono cattivi, sono immorali. E soprattutto sono tanti: 1.300 miliardi di euro, in termini quantitativi più dell'Italia. Questo spiega l'avversione tutta tedesca a ciò che sa di calcolo finanziario.

La ricetta è lavorare, guadagnare, restare nei limiti del proprio budget, mettere da parte il più possibile, camminare sulle proprie gambe e non con quelle delle banche. Una filosofia di vita che si fa ragione economica.

Negli Stati Uniti e nei Paesi anglosassoni in generale si fa fatica a seguire la semplicità di un simile percorso di pensiero. Da loro un ministro del Tesoro viene valutato dai risultati che la sua politica produce in termini di crescita e di posti di lavoro. Che lo faccia a debito o no è ininfluente. Obama dagli inizi della crisi ha speso 800 miliardi per investimenti, se n'è infischiato del deficit e adesso viaggia con una crescita intorno al 3%, con la recessione alle spalle. La Germania, al contrario, si è data come obiettivo l'azzeramento del deficit e l'ha ottenuto non senza critiche da parte dello stesso establishment economico tedesco. Heike Göbel, sulla "Frankfurter Allgemeine Zeitung" del 19 marzo scorso, ritiene inescusabile che il governo non abbia approfittato della congiuntura favorevole per ridurre ancor di più le spese e abbattere il debito. Morale: se le cose vanno male bisogna stringere la cinghia, se vanno bene anche. Che è un po' la filosofia di vita del tedesco: la vita è una tribolazione, servire la comunità la nobilita. Federico il Grande, re di Prussia, l'ha immortalata: io sono il primo servitore dello Stato. Confrontato con l'apodittico "L'Etat c'est moi" di Luigi XIV rifulge in tutta la sua pienezza la diversità tedesca.

I Paesi in crisi dell'Eurozona trovano negli anglosassoni degli alleati: per questi ultimi l'economia è un tutt'uno con il raggiungimento del benessere, della felicità. Gli americani l'hanno scritto nella Dichiarazione di Indipendenza del 1776 : "Pursuit of Happiness". Resta il fatto che in piena crisi dell'euro nel Sud Europa sono sempre più i cittadini che chiedono politiche di bilancio espansive mentre al Nord trionfa il pensiero dei tagli delle spese e dei salari nei Paesi indebitati. Il ragionamento, che anche negli ultimi incontri di marzo a Cernobbio ha trovato sempre più consenso, suona così: se il settore pubblico abbatte le spese fa peggiorare la crisi perché priva l'economia degli stimoli per riprendersi. La contabilità di bilancio non va confusa con i problemi strutturali dell'economia. Sono infatti questi ultimi a determinare gli obiettivi strategici da perseguire. Il bilancio va adeguato alle esigenze della crescita, perché se la congiuntura tira anche i conti dello Stato ne traggono beneficio. Quello che in un primo momento viene speso rientra poi in forma di aumento delle entrate.

Cosa succede però se un Paese ha una cattiva amministrazione, sprechi continui e una corruzione che pervade il tessuto sociale ed economico? La crescita non disciplinata diventa un doping per le storture di un'economia malata. Per chi teme il contagio è lo spettro che incombe sull'Unione monetaria. L'incubo che tormenta i sogni tedeschi e li ha condotti all'imposizione di un'austerità priva di ragione economica. Il risultato è che la disciplina di bilancio, che è proprio ciò che i greci hanno da imparare, è diventata ad Atene simbolo di subordinazione a Berlino, e quindi odiata. Vittime del loro furore teutonico i tedeschi dimenticano che anche i primi della classe devono fare i compiti a casa. "Leadership in partnership", dicono gli americani. Il che vuol dire saper guidare non contro ma assieme ai Paesi in crisi. Pragmatismo e tatto sono le doti richieste. Per il carattere nazionale tedesco la vera sfida.