Quando il lettore avrà in mano questo numero del «Mulino» conoscerà il nome del nuovo presidente della Repubblica, saprà valutare le prime conseguenze sull’economia europea del Quantitative Easing, si sarà fatto un’idea degli effetti della vittoria di Syriza, in Grecia e in Europa. Noi, viceversa, scriviamo questo editoriale senza conoscere neppure la composizione del governo greco; né sapendo chi è il nostro nuovo capo dello Stato. Anche gli stessi effetti di primo impatto delle misure della Banca centrale europea sono ancora ben lontani dall’essersi manifestati compiutamente.

Pur non potendo seguire da presso l’attualità, c’è però qualcosa che una rivista bimestrale può e deve continuare a fare. Vale a dire riflettere sulle grandi questioni di politica ed economia, interne e internazionali. In particolare, il nostro compito principale resta più che mai quello di interrogarsi a fondo sul declino che da molti anni sta subendo il nostro Paese. Anche in questo numero diamo grande spazio ai temi italiani, da diversi punti di vista. A partire da quello della partecipazione politica, con tre articoli dedicati alle elezioni regionali che in Calabria e in Emilia-Romagna hanno portato il Partito democratico alla vittoria, ma sulla base di tassi di astensione da record. Proprio al caso emiliano e alla sua presunta eccezionalità dedichiamo un blocco di quattro pezzi. Mentre altri quattro contributi trattano da diverse posizioni il ruolo di Matteo Renzi e le innovazioni da lui portate nella politica italiana, a partire da un intervento di Michele Salvati pubblicato sullo scorso numero. Dopo i fatti parigini e la tragedia di Charlie Hebdo assume particolare rilevanza un articolo sui rigurgiti di antisemitismo in Francia, che compare nella sezione internazionale a fianco di un pezzo sugli importanti mutamenti in corso in America Latina. Mentre uno sguardo più ampio sui cambiamenti in atto in Europa, tra crisi economica e fenomeni migratori, è offerto da Christoph Cornelißen nell’intervista che ci ha rilasciato. Esattamente tre anni fa, scrivemmo: «A differenza di una breve recessione, una fase di ristagno così lunga non è un fenomeno la cui spiegazione possa essere lasciata ai soli economisti: perché l’Italia sembra aver perso la sua “spinta propulsiva”? Quali sono gli ostacoli che la frenano, che le impediscono di muoversi al passo dei suoi vicini europei? Un passo modesto, oltretutto, e certamente non irraggiungibile. E perché la politica sembra incapace di identificare quegli ostacoli e rimuoverli?». Sono interrogativi ancora oggi nel pieno della loro validità, intorno ai quali ruotano (o dovrebbero ruotare) molte scelte di governo, molti dibattiti sulla necessità di riformare il Paese e, soprattutto, sulle modalità di tali riforme.

Il mercato del lavoro e gli interventi attuati dal governo Renzi sono stati al centro dell’agenda politica, e continueranno presumibilmente ad essere ancora a lungo al centro del dibattito pubblico. Per questo, su un tema tanto cruciale quanto controverso, ci è sembrato decisivo mettere a «confronto» due voci sufficientemente contrapposte, come quelle di Paolo Pini e Marco Leonardi. Come ricordammo aprendo lo scorso triennio, nell’editoriale del numero 1/2012, «“il Mulino” è una rivista di politica e di cultura, e la cultura implica giudizi e valutazioni, non solo analisi e interpretazioni, a prescindere dal fatto che è difficile impedire che i primi si insinuino nelle seconde».

Ciò che scrivemmo allora è tuttora valido. La stessa ispirazione generale della rivista continuerà ad essere liberale e democratica, dunque ad avere un orientamento normativo. Oggi come allora, e probabilmente come sempre è stato nella nostra lunga storia, continueremo nel nostro lavoro a ispirarci innanzitutto alla serietà e alla razionalità degli argomenti, fattuali e normativi, con i quali un’opinione è asserita e difesa. Senza mai tralasciare la sua capacità di tenuta nel confronto con opinioni diverse.

[Foto di copertina di Luca Capuano]