Le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, tenutesi nei 28 Paesi dell’Unione dal 22 al 25 maggio, hanno evidenziato una netta avanzata delle forze nazionaliste ed euroscettiche in tutto il continente. In Francia e Gran Bretagna si può parlare di una vera e propria vittoria della destra radicale, con il Front national di Marine Le Pen primo partito del Paese, al 25% dei consensi (e 24 seggi al Pe), e con il risultato storico dell’inglese Ukip di Nigel Farage, che ha raccolto oltre il 31% dei voti (e 22 seggi). Anche in Danimarca l’estrema destra, con il Partito del Popolo, ha trionfato (con circa il 27% delle preferenze), attestandosi fra i più potenti partiti radicali di destra del Nord Europa e raddoppiando il numero dei propri parlamentari europei, da 2 a 4. Similmente, in Austria, il Fpoe è in forte ascesa (20% dei voti, +7,2% rispetto alle precedenti elezioni) e in Germania i neonazisti della Npd si sono aggiudicati un seggio a Strasburgo. Infine in Ungheria la formazione fascista dello Jobbik e in Olanda l’eurofobo Pvv di Geert Wilders hanno portato a casa circa 4 deputati ciascuno, rispettivamente con il 13 e il 15% delle preferenze, e la greca Alba Dorata ha registrato un incremento importante, raggiungendo il 9% dei consensi (come del resto i Democratici Svedesi, che hanno ottenuto il 7%) e mandando così per la prima volta i suoi rappresentanti a Bruxelles.

Se già da tempo ricerche sociologiche parlavano della fine del «consenso permissivo» all’Europa in molte opinioni pubbliche, lo scenario che si apre con i risultati ottenuti dalla schiera di partiti anti-Europa è di un definitivo rafforzamento di quello che viene chiamato, più di recente, «dissenso constringente» (L. Hooghe e G. Marks, A Postfunctionalist Theory of European Integration: From Permissive Consensus to Constraining Dissensus, «British Journal of Political Science», 39, 2009, pp. 1-23), a intendere una politicizzazione del processo di integrazione sempre più critica, e in questo caso ideologicamente determinata, che porrà con ogni probabilità l’Unione europea di fronte a un dilemma in termini di politiche.

Nessun gruppo parlamentare ha mai raggiunto la maggioranza dei seggi, e tradizionalmente il Pe è stato guidato dall’alleanza fra i due maggiori gruppi, socialisti e popolari, che prevedibilmente daranno vita anche stavolta (con i loro 212 e 185 seggi) a una Grande Coalizione di fatto, che istituzionalmente avrà i numeri per dettare il passo dell’Unione.

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Riproduciamo qui l'incipit dell'articolo di Manuela Caiani, Le grandi contraddizioni della destra populista, pubblicato sul “Mulino” n. 3/14, pp. 450-458.