«Vi imploro, per una volta, mettetevi al di sopra della legge. E per fare un atto di grande giustizia, compiete un piccolo torto» («[t]o do a great right, do a little wrong»). È tutta racchiusa in questa mirabile richiesta – con la quale Bassanio implora la grazia per Antonio (ne Il Mercante di Venezia shakespeariano, Atto IV, scena prima) – la drammaturgia della clemenza. Un piccolo torto, per una grande giustizia. Ma è davvero così? Facciamo un passo indietro.

Sin dagli albori della civiltà (ubi societas, ibi ius), si sono manifestate esigenze di diritto e di perdono. I due termini si integrano, almeno in parte. Così, se il diritto serve un ideale concreto di giustizia, ed è quindi regola, misura, proporzione, il per-dono è un’offerta senza condizioni, illimitato al punto che – da una prospettiva radicale – esso è pieno solo se smisurato, come perdono dell’imperdonabile, e dunque al di là dell’ambito giuridico (così J. Derrida, Perdonare, Cortina, 2004, p. 46). Eppure, è proprio il diritto a offrire gli strumenti per fornire una misura a tale smisuratezza e, in ultima analisi, a renderla effettiva. Ed è pertanto al giurista che occorre rivolgersi nel caso in cui si desideri affrontare lo spinoso tema di quale clemenza sia necessaria, o quello – ancora più insidioso – di quanta clemenza possa ritenersi opportuna.

Nel tentativo di rispondere a tali quesiti, sin dai tempi più remoti la civiltà giuridica ha inventato tre istituti: l’amnistia, la grazia e la prescrizione. Ciascuno di essi regolamenta specifiche situazioni, ma tutti servono la relazione tra diritto e clemenza. Con notevoli differenze: se la prescrizione è una sorta di perdono pre-stabilito, che viene definito dal legislatore anticipatamente, l’amnistia e la grazia agiscono ex post – cioè dopo che la condotta è compiuta – e per questo devono rispondere a criteri, se possibile, ancora più rigorosi.

[…]

 

Riproduciamo qui l'incipit dell'articolo di Gabriele Della Morte, La questione carceraria fra diritto e clemenza, pubblicato sul “Mulino” n. 3/14, pp. 399-407.