Esattamente un secolo fa, gennaio 1914, la Francia si trovava nel pieno di una bufera politica alimentata da rivelazioni scandalistiche. Nel corso di una campagna stampa contro il ministro delle Finanze, Joseph Caillaux, “Le Figaro” non aveva esitato a pubblicare una serie di lettere piccanti inviate qualche anno prima dall’uomo politico – ancora sposato con la prima moglie – all’amante Henriette, con la quale era nel frattempo convolato a nozze. I pressanti appelli di Caillaux al rispetto della vita privata non ottennero particolare ascolto. Tanto più che il 16 marzo 1914 Henriette decise di mondare l’onore ferito uccidendo a colpi di rivoltella il direttore del quotidiano, Gason Calmette, e obbligando il marito alle dimissioni. Era andata meglio, qualche anno prima ad Aristide Briand, la cui luminosa carriera politica (undici volte primo ministro e premio Nobel per la pace nel 1926) aveva rischiato di interrompersi anzitempo in un prato, dove era stato sorpreso da un commissario di polizia in flagrante delitto di adulterio. L’assoluzione in appello non risparmiò a Briand il tagliente sarcasmo della stampa, che non aveva ancora smesso di burlarsi del presidente della Repubblica, Félix Faure, deceduto di arresto cardiaco il 16 febbraio 1899 all’Eliseo, mentre espletava una pratica sessuale con l’amante. Il che lo rese senz’altro più celebre per le circostanze della morte che per i meriti politici.

Non è dunque una novità che i “grandi” ispirino una curiosità che travalica la loro funzione pubblica. Gli uomini di Stato esemplari, d’altronde, non hanno mai impedito che si celebrassero le proprie virtù private. Allo stesso modo la consegna del silenzio per quelli meno saggi difficilmente è stata praticabile. Storicamente, la pretesa degli uomini politici di farsi doganieri dell’incerta frontiera tra pubblico e privato è un’aspirazione rischiosa. Soprattutto nei periodi di difficoltà collettive, quando l’opinione pubblica poco gradisce assistere alla felicità privata dei governanti. Così era cent’anni fa nella Francia in preda alle tensioni internazionali che avrebbero condotto al primo conflitto mondiale; così è oggi, con le casse nazionali svuotate dalla crisi economica.

Certo, a differenza di Sarkozy – che aveva utilizzato lo stesso settimanale, “Closer”, per pubblicizzare la nascente love story con Carlà – Hollande non ha fatto nulla per portare agli onori delle cronache la propria, illudendosi che un casco integrale e una serpentina motociclistica potessero celare le private intemperanze.

Già nel lontano 1957, Ernst Kantorowicz aveva illustrato nel suo magistrale I due corpi del re come un uomo politico, nell’esercizio della magistratura suprema, non fosse libero di disporre della propria vita privata, che resta inestricabilmente vincolata alla propria funzione e esige grande cautela. Era così per i re carolingi e lo è a maggior ragione per Hollande, insediatosi all’Eliseo proprio grazie alla inesorabile commistione tra ambito pubblico e privato che caratterizza le democrazie contemporanee e che è costata la presidenza tanto a Sarkozy quanto a Strauss-Kahn.

Quando Hollande invoca la “sacra” frontiera della sfera privata non dimentica solo la dinamica della sua elezione né si limita a rimangiarsi la promessa fatta durante il dibattito televisivo pre-elettorale di mantenersi “esemplare, in ogni istante” del proprio mandato. Commette soprattutto un grave errore di prospettiva storico-politica. L’ex segretario socialista forse si è illuso di essere ancora nell’età dell’oro della Quinta Repubblica, quando si mormorava in segreto della principessa di Giscard d’Estaing, della figlia nascosta di Mitterrand o dei “cinque minuti doccia compresa” di Chirac, senza che nessuno portasse gli scandali alla luce. E in questo modo ha immaginato di potersi consentire, al pari dei propri predecessori, la medesima gestione disinvolta della vita privata, protetto dalla sovranità del ruolo e dal compiacente silenzio dei media. Così facendo, però, Hollande ha sottovalutato gravemente due evoluzioni decisive dell’attuale contesto politico: la perdita di sacralità della funzione presidenziale, alla quale ha lui stesso contribuito celebrandone la “normalità”, e la trasparenza imposta alla politica dal carattere pervasivo del sistema mediatico.

Così, invocando fuori tempo massimo il rispetto della vita privata, Hollande appare come una sorta di pompiere piromane che tenta invano di spegnere l’incendio che ha lui stesso appiccato in maniera maldestra.