Nell'aprile del 1952 iniziò la rivoluzione boliviana, che diede impulso alla riforma agraria, alla nazionalizzazione del settore minerario e al suffragio universale. Sessant´anni dopo, è morta Domitila Barrios de Chungara e la democrazia boliviana si è listata a lutto. Domitila era una donna coraggiosa, nata alla fine degli anni Trenta a Potosí. Ebbe la possibilità di formarsi come dirigente in quanto moglie di un minatore e, madre di sette figli, fece parte del Comitato delle casalinghe delle miniere. Nel giugno del 1967 sopravvisse al massacro perpetrato dai militari contro i minatori e, dieci anni dopo, insieme ad altre quattro donne, avviò lo sciopero della fame contro la dittatura. Ricevettero dapprima l’appoggio dei sacerdoti, poi degli universitari e, in pochi giorni, furono migliaia gli scioperanti che esigevano libere elezioni, riuscendo a provocare la caduta della dittatura militare, nel 1978. Ebbe così inizio la democrazia boliviana, che quest’anno festeggia tre decadi, la fase più lunga della storia politica del Paese.

Pensando a lei, mi sovviene un aneddoto legato a un evento letterario, un felice incontro avvenuto più o meno vent’anni fa. Ebbi la fortuna di far incontrare due cari amici ed essere testimone di quello che accadde la magica sera in cui entrammo nell’auditorium dell’Università pubblica di Cochabamba. Il pubblico era impaziente poiché si trattava della prima visita di Eduardo Galeano, vi era una voglia enorme di ascoltare la sua voce posata, di registrare i suoi gesti umili e conoscere le sue storie, che raccontano le nostre. Una di queste si trova nella Memoria del fuoco: è il racconto dello sciopero della fame attuato da Domitila con le sue compagne ed è intitolato Cinque donne: «Qual è il nemico principale? La dittatura militare? La borghesia boliviana? L’imperialismo? - dice Domitila - No, compagni. Io desidero dirvi questo: il nostro nemico principale è la paura. Ce l’abbiamo dentro».

Per questo non mi meravigliai quando Eduardo Galeano, che in quei giorni passeggiava per i dintorni di Cochabamba annotando i suoi ricordi in minuscoli bloc notes, mi chiese di Domitila. Dissi a Galeano che Domitila abitava nella provincia di Quillacollo, dove gestiva una scuola di formazione sindacale, e aggiunsi che da quel momento avremmo iniziato a cercarla perché potesse assistere alla sua conferenza all’Università. Alle sei del pomeriggio, quando entrammo nell’auditorium, avvisai Galeano: «Lei è lì, nell’ultima fila, e nasconde la testa ai nostri sguardi, vuoi che la inviti al tavolo?». «No», mi rispose, «questo piacere sarà mio». E mentre in sala regnava un silenzio carico di attesa, Eduardo Galeano prese il microfono, si alzò in piedi e, quasi sussurrando, disse: «Un uccellino mi ha detto che in sala c’è la mia amica Domitila». Lei continuava a cercare di nascondere il volto dietro le teste degli studenti, ma non riuscì a trattenere l’emozione quando Galeano esclamò: «Vieni, ti stiamo aspettando».

Solo allora si alzò in piedi in mezzo agli applausi e si avvicinò al tavolo per sciogliersi in un tenero abbraccio con l’amico uruguayano. Il calore di Eduardo Galeano trasformò quell'occasione in una festa: iniziò a raccontare episodi della sua vita e, di quando in quando, mentre leggeva brani dei suoi libri, rimaneva a guardare Domitila Chungara, sorridendo con lei. Oggi ricordiamo doña Domitila con tristezza: magari qualcuno potesse averle dato tanto affetto e tanto rispetto quanto Eduardo Galeano quella sera a Cochabamba.